Quello che tutto conosce, e da nessuno è conosciuto, è il soggetto
Schopenhauer
L’Io è la chiave di interpretazione di Spazio e Tempo e dell’intera Realtà.
Non sappiamo da dove derivi il nostro Io. La sua introspezione non giunge a tanto (nessuno di noi ha colto l’attimo del suo concepimento…).
Ma sappiamo (con assoluta certezza) tante altre cose, tra cui:
L’Io si divide in due grandi aree: quella dell’Io e quella del non-Io (anche il non-Io lo cogliamo internamente all’Io)
Nell’area dell’Io stanno
a) L’Io propriamente detto: pensiero che coglie se stesso e che dà immediatamente origine ad una volontà.
b) La memoria.
c) I sentimenti.
d) Gli strumenti propri dell’Io: la ragione teoretica e pratica (logica, matematica ecc.), l’intuizione, ecc.
Nell’area del non-Io:
a) Rappresentazioni di esseri simili al mio Io: gli altri.
b) Rappresentazioni di realtà esterne a me.
Le rappresentazioni del non-Io mi appaiono come realtà esistenti al di fuori di me stesso.
Tra Io e non-Io troviamo un terzo elemento: il nostro corpo. Esso ci appare come tramite di informazione ed azione tra Io e non-Io.
Al di sopra dell’Io, le Verità di ragione: la Logica e la Matematica, che, da un lato, ci appaiono come prodotti dell’Io, dall’altro come scoperta di qualche cosa che lo sovrasta: l’Iperuranio di Platone.
La natura della nostra conoscenza
Al di là di quanto detto, null’altro ci è dato per certo.
Non possiamo essere certi che un mondo esterno esista effettivamente fuori di noi, e che noi non stiamo sognando; né che altri esseri coscienti simili a noi esistano realmente: noi siamo certi della nostra autocoscienza, ma non percepiamo quella altrui.
Al di là del nostro Io, la nostra conoscenza è solo ipotetica, come bene illustra l’opera di Popper.
Noi poniamo delle ipotesi per spiegare quello che appare al nostro senso interno od esterno, e crediamo a queste ipotesi fino a quando esse non siano smentite dalla ragione o dall’esperienza.
Sul castello delle nostre ipotesi costruiamo il nostro sapere e ci avviciniamo asintoticamente ad una Verità che postuliamo esistente, ma della cui esistenza garantisce solo un nostro atto di fede.
Anche la Scienza può dimostrare con l’esperimento solamente che una asserzione sia falsa, ma non che essa sia vera.
Noi procediamo, nel costruire il nostro sapere, con il metodo del labirinto: proviamo una via, e la scartiamo se la troviamo chiusa, mentre teniamo buona quella percorsa, fino a ché ci permette di avanzare.
La scienza non posa sopra un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte… Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza solidi da sorreggere la struttura.
Karl Popper
Una nuova certezza
Ma l’opera della Scienza ci ha fornito una nuova, incredibile ed inspiegabile certezza.
Gli strumenti logico-matematici propri del nostro Io, che non derivano dalla esperienza, ma sono costruzioni tutte interne all’Io, non solo sembrano accomunarci con gli altri, ma, soprattutto, funzionano nel prevedere i comportamenti del mondo esterno, benché questo appaia come qualche cosa di propriamente indipendente dal nostro Io.