de Anima: i Comandamenti e l’Invidia

Da tempo mi chiedevo come mai nella versione cattolica dei 10 comandamenti, si elencassero il nono ed il decimo come:

9    non desiderare la donna d’altri.

10  non desiderare la roba d’altri.

Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio, Città del Vaticano 2005, p. 120.

 

In realtà il testo biblico non sembra giustificare questi due punti, ed unifica la prescrizione relativa in un unico articolo.

I comandamenti sono riportati nella Bibbia in due libri diversi, Esodo 20, 2-17 e Deuteronomio 5, 6-21.

 

Il Catechismo della Chiesa cattolica – Compendio li cita così:

Esodo, 20, 2-17:

Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.

Deuteronomio, 5, 6-21:

Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio, Città del Vaticano 2005, p. 120.

 

Come si vede, nel Deuteronomio appare un punto provvidenziale tra la moglie e le cose del prossimo, che permette di separare l’unico versetto in due comandamenti, cosa impossibile in Esodo. Nel Catechismo, versione integrale, del 1992, le citazioni sono spezzate e incomplete, in modo da aumentare la confusione.

Per di più, la citazione del Deuteromio nel Compendio risulta alterata e accorciata, mentre la stessa manomissione appare, nel Catechismo integrale, attribuita ad Esodo.

 

Ma consultando alcuni esemplari della Bibbia che ho in casa, il punto non c’è, e il versetto 21 appare unico ed indivisibile. Per di più, non c’è il punto neppure nel versetto dell’Esodo, tra la casa ed il resto, e la cosa fa sospettare un inserimento malizioso del punto in Esodo per giustificare quello, ben più grave, nel Deuteronomio.

 

Ecco cosa dice la Bibbia del lucchese Giovanni Diodati (1575-1649):

Esodo:

Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupir la moglie del tuo prossimo; né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.

Deuteronomio:

Non concupir la moglie del tuo prossimo; parimenti non appetir la casa del tuo prossimo; né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.

 La Sacra Bibbia, Edizioni Ferni, Ginevra 1975, pp. 113, 213.

 

Così si esprime la Bibbia del Dott. Giovanni Luzzi, già Prof. alla Facoltà Teologica Valdese di Roma:

Esodo:

Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo; ecc..

Deuteronomio:

Non concupir la moglie del tuo prossimo, e non bramare la casa del tuo prossimo; né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.

La Sacra Bibbia, Libreria Sacre Scritture, Firenze 1958, pp. 103, 240.

 

Ed ora la Bibbia del Sac. Dott. Nicolaus Moccia, Roma 1956, con imprimatur del Vicario generale Aloisius Rinaldi:

Esodo:

Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie, lo schiavo, la schiava, il bue o l’asino, né cosa alcuna che gli appartenga.

Deuteronomio:

Non desiderare la moglie del prossimo tuo, né i suoi beni, il suo campo, il suo servo, la sua serva, il suo bue, il suo asino, né cosa alcuna che gli appartenga.

 

Come si vede, tutte le versioni coincidono nel ritenere unito il versetto 21 del capitolo 5 del Deuteronomio. Inoltre Esodo e Deuteronomio si differenziano solo nell’ordine dell’elencazione, dove nel secondo, la moglie viene per prima, ma concordano per il resto quasi parola per parola.

 

Un imbarazzo tutto moderno

A mio parere la divisione in due di questo unico articolo è dovuta all’imbarazzo dei moderni di vedere donne  e buoi accomunati in un unico versetto: non è sembrato rispettoso per la donna lasciarla assieme al bue ed all’asino, sebbene assieme a questi sia stato lasciato Gesù bambino!

E’ vero che assieme ai due simpatici animali sono rimasti schiavi e schiave, ma, avendo esaurito il numero dei dieci, ai preti non è rimasto che far buon viso a cattiva sorte, in attesa di qualche protesta sindacale, che porti i comandamenti ad undici.

Nel frattempo, accorciando il comandamento, fanno sparire l’oggetto dell’imbarazzo.

In realtà,  con questa correzione allo Spirito Santo, i solerti correttori hanno trasformato uno dei comandamenti più saggi e sottili in due inutili duplicati del sesto e del settimo (numerazione attuale) “Non commettere atti impuri” e “Non rubare”.

Infatti, nella versione originale, il decimo comandamento suona come una prescrizione contro l’invidia: Non desiderare l’altrui sorte, non invidiare il tuo vicino: ognuno ha il suo posto di combattimento e la sua croce, e lì deve combattere.

L’invidia è uno dei sentimenti più deleteri e porta facilmente al malanimo ed all’odio, e quindi alla vera espressione del Male.

Questa è un’epoca in cui l’invidia è stata elevata ad ideologia, in cui il desiderare la roba d’altri è stato esaltato come spirito di giustizia, o di equità. Forse per questo si è pensato di mascherarne il comandamento?

 

Il secondo comandamento fatto sparire

Recentemente, in un libro di Singer, che ora non riesco a ricordare, ho letto una frase che mi aveva indotto a pensare che per gli Ebrei la divisione dei comandamenti sia differente, ed i comandamenti contro il Signore per loro non siano tre, ma quattro.

Questo mi ha fatto immediatamente pensare alla questione del decimo, nel senso che forse per gli Ebrei questo è un comandamento unico. Non ho però potuto controllare la cosa.

Leggendo però Il genio del Cristianesimo di Chateaubriand mi accorgo che secondo lo scrittore francese la divisione del Decalogo è conforme a questa lettura, e non a quella propostaci oggi.

 

1  “ Non vi saranno per te altri dei davanti alla mia faccia.”

2  “ Non ti foggerai idolo alcuno con le tue mani…”

…….

9 “Non pronunciare falsa testimonianza…”

10 “Non desidererai la casa del tuo vicino, né la sua donna, né il suo servitore, né la sua serva, né il suo bove, né il suo asino, né null’altro di quanto è del tuo vicino”

F.R. de Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, I, II, IV, vol. I, UTET, Torino 1949, pp. 97-99.

 

Gli altri sono quelli già ben conosciuti, ma numerati diversamente.

Come si vede un secondo comandamento, cioè la proibizione di costruirsi idoli, è inserito tra il primo e l’attuale secondo,  Non pronunciare il Nome di Dio invano.

Forse la modifica risale a tempi moderni o contemporanei? Non me ne meraviglierei, vista l’attuale smania dei preti di correggere i testi sacri dove questi sono più difficili di quanto essi possano comprendere.

La sparizione del secondo comandamento è probabilmente dovuta alla sua possibile interpretazione iconoclasta, cioè contraria a qualsiasi raffigurazione del divino, cosa non conforme alla grande tradizione cattolica: ma la Chiesa ha sempre dimostrato sufficiente saggezza nell’interpretare correttamente la parola divina, da poter salvare il significato profondo e spirituale della proibizione, senza introdurre contenuti materiali poco significativi.

Del resto, la razionalità tradizionale del Cattolicesimo, e la stessa parola di Gesù ci avevano già salvato dalla maledizione di non poter mangiar maiale, cosa che da sola dimostrerebbe la superiorità del Cristianesimo su Ebraismo ed Islam (se ce ne fosse bisogno!).

Ascoltate ed intendete! Non quello che entra dalla bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!

Matteo, 15, 10-11.

 

Altre modifiche pretesche, scarsamente apprezzate!

Non paghi di aver trasformato il “pax hominibus bonae voluntatis” in “pace agli uomini che Egli ama”, non riuscendo a capacitarsi che la pace non fosse obbligatoria per tutti, ma solo per gli uomini di buona volontà, e lasciando così aperto il dubbio che ci siano anche uomini che “Egli non ama”, ora mettono in dubbio anche la sapienza teologica della Seconda Persona, cioè di Gesù, che ha detto non indurci in tentazione, non capacitandosi più il clero in giacca e calzoni, sopraffatto dal buonismo straccione e multicolore, di come il buon Dio possa tentarci di persona, dimentichi che lo ha già fatto nell’Eden, con l’albero del Bene e del Male.

Aspettiamoci il peggio, con qualche correzione anche al “Padre Nostro”!

 

Un cattivo motivo per cambiare ed uno buono per mantenere

Il motivo principale con cui si vogliono giustificare questi cambiamenti è che le frasi originarie sono state pronunciate o scritte in aramaico, mentre noi ne conosciamo le traduzioni greche e latine, e poiché l’aramaico non lo sa nessuno, è possibile dirne quel che si vuole, per soddisfare le smanie teologiche dei nuovi estensori.

Ma quelle formule che si vogliono cambiare sono state recitate per circa due millenni dai nostri padri, nonni e bisnonni, compresi papi, preti, santi, e martiri, e questo uso millenario le ha circonfuse di un alone di santità e di mistero che le nuove formulette non hanno, o avranno forse tra altri duemila anni, … forse.

Non val certo la pena, per rincorrere l’alea di nuove traduzioni, di gettare alle ortiche i tesori della tradizione. Ma tant’è, questi nuovi Attila lo hanno già fatto per l’inestimabile tesoro liturgico e musicale della Chiesa. Su questo concordiamo pienamente con quanto disse l’allora cardinal Ratzinger nel libro intervista Il sale della terra :

Una comunità mette in questione se stessa quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?

da Il Giornale, mercoledì 11 ottobre 2006, p. 18.

 

Da dove viene l’ignoranza dei preti?

E, non avendo ricevuto gli ordini religiosi, non ritengo che la completa ignoranza di un dato soggetto possa predisporre e autorizzare a parlarne autorevolmente.

B. Cabell, L’incubo, Mondatori, Verona 1949, p. 55

Non ci associamo alla caustica battuta di Branch Cabell; certo è che tanta parte del clero la rende attuale!

Purtroppo la criminale distruzione attuata per tutto il settecento e l’ottocento dell’ala contemplativa della nostra società occidentale, con la confisca e la chiusura dei conventi attuata dai governi monarchici ed illuministi(!), che usarono le ricchezze malguadagnate per continuare a farsi guerre, ha tanto depauperato la nostra società di contenuto spirituale e di profondità di pensiero, che la gramigna dell’ignoranza laica ha ormai contaminato anche la manovalanza di Nostro Signore.

Il prete è abbandonato a se stesso, in mezzo al mondo ed alla gente, rimbecillita da mezzi di diffusione come la televisione e la gran parte della stampa, la cui bassezza culturale e morale tocca fondi sempre più arditi ed impensabili: è inevitabile che, senza altri riferimenti quali erano le comunità di persone dedite insieme alla meditazione ed alla preghiera, che costituivano una fonte perenne di ispirazione e riferimento, egli si trovi trascinato in breve al livello della gente comune cui dovrebbe essere guida. Non ci resta che sperare in Dio e nella Sua Saggezza!

(Già una volta, a Sodoma e Gomorra, Egli seppe risolvere brillantemente un caso simile…ma speriamo che stavolta abbia un’idea diversa.)

 

Dai nemici mi guardo io, ma dai preti ci guardi Iddio

(indietro)                                                                                                                                 (segue)