de mundi: la Forma

Origine del concetto di Forma

Platone pensò che il mondo che ci circonda non fosse che la brutta copia di un mondo formato dalle Idee, cioè dagli archetipi ideali delle cose. La vera rosa non è quella che noi cogliamo ora, e che domani non sarà più, ma l’idea della rosa, imperitura e sempre uguale a se stessa.

…bisogna ammettere che vi è una forma di realtà [intelligibile] che è sempre allo stesso modo, ingenerata ed imperitura, che non accoglie dal di fuori altra cosa, né essa passa mai in altra cosa, e non è visibile né percettibile con altro senso.

E bisogna ammettere che di nome uguale e ad essa somigliante vi è una seconda forma di realtà che è sensibile, generata, in continuo movimento, che nasce in un qualche luogo e di là perisce…

 Platone, Timeo, Rusconi, Milano 1994, p. 151.

 

Aristotele ribattezzò l’Idea con il nome di Forma, e affermò che questa, unendosi alla materia, origina le infinite rose che nascono e muoiono. La materia costituisce il principio dell’individualità, la Forma, unica per tutte, è ciò che rende ogni singola rosa una rosa.

Non dobbiamo confondere il termine Forma con la forma geometrica, così come noi usiamo generalmente il termine: Forma, per Aristotele, comprende tutto ciò per cui una cosa è quello che è, e perciò corrisponde alla sua definizione.

Pertanto l’essenza c’è solamente di quelle cose la cui nozione è una definizione…

Aristotele, Metafisica, VII, 1030a, 4, Rusconi, Milano 19984, p. 299.

 

Per Platone, quindi, la Idea-Forma è l’originale eterno di cui le cose transeunti (quelle che noi chiamiamo reali) non sono che la brutta copia, che sempre si rinnova, in un concatenarsi di nascita, corruzione e morte.

Per Aristotele, invece, la Forma-Idea è ciò che fa sì che una cosa sia proprio quello che è, una struttura ideale che investe e costringe la materia, di per sé amorfa, ad essere un qualche cosa di preciso. La Forma-Idea è comune a tutte le cose di uguale specie o natura, mentre la materia è il principio di individuazione della singola cosa, cioè quello per cui essa differisce dalle altre simili.

 

Il pensiero cristiano, in particolar modo in S.Tommaso d’Aquino, riprendendo ed interpretando correttamente il pensiero di Aristotele, vede l’origine delle Forme nel pensiero divino: Tommaso introduce però, tra Forma ed Ente, cioè la cosa realmente esistente, il concetto di Essenza, che corrisponde alla definizione della cosa, comprendente Forma e materia: l’Essenza, da realtà razionale e spirituale, si trasforma in realtà materiale quando riceve da Dio l’essere, e diviene Ente, cioè cosa realmente esistente.

Neque etiam forma tantum essentia substantiae compositae dici potest, quamvis hoc quidam asserire contenetur. Ex hiis enim quae dicta sunt patet quod essentia est illud quod per diffinitionem rei significatur; diffinitio autem substantiarum naturalium non tantum formam continet sed etiam materiam, aliter enim diffinitiones naturales et mathematicae non different.

(Neppure la sola forma può essere detta di per sé essenza di una sostanza composta (composta da materia e forma, cioè sostanza materiale, ndr), sebbene alcuni cerchino di sostenere questa tesi. Da ciò che è stato detto risulta chiaro infatti che l’essenza è ciò che viene espresso attraverso la definizione della cosa, e la definizione delle sostanze naturali contiene non soltanto la forma, ma anche la materia; in caso contrario, infatti, tra le definizioni naturali e quelle matematiche non vi sarebbe nessuna differenza.)

 

Huic etiam ratio concordat, quia esse substantiae compositae non est tantum formae neque tantum materiae, sed ipsius compositi; essentia autem est secundum quam res esse dicitur: unde oportet ut essentia qua res denominatur ens non tantum sit forma, neque tantum materia, sed utrumque, quamvis huiusmodi esse suo modo sola forma sit causa..

(E a ciò si accorda anche la ragione, dal momento che l’essere della sostanza composta non è né solo della forma, né solo della materia, ma dello stesso composto: ma l’essenza è ciò per cui una cosa è detta essere, e pertanto occorre che l’essenza, in virtù della quale la cosa è chiamata ente, non sia né la sola forma, né la sola materia, ma l’una e l’altra, sebbene di tale essere sia causa, a suo modo, la sola forma.)

Tommaso d’Aquino, Ente ed essenza, § 2, Rusconi, Milano 1995, pp. 80-83, 84-85.

 

Riapparizione  moderna del concetto di Forma

Le Forme od Idee rimasero in auge fino all’inizio della modernità, grazie alla cultura Scolastica, anche se contrastate sempre più virulentemente dal nominalismo, che considera le forme solamente nomi di comodo, mentre ogni realtà è qualche cosa di unico, non riferibile ad altro.

 

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

U.Eco, Il nome della Rosa.

 

Successivamente non sembrò di poter trovar più posto ad un concetto così squisitamente intellettuale, in un mondo che appariva sempre più esclusivamente materiale.

 

Solamente Leibniz, che riutilizza il concetto di sostanza, riabilita il concetto di Forma in un suo famoso passo.

La natura di una sostanza individuale, ossia di un essere completo, è di avere un concetto così compiuto che sia sufficiente a comprendere, e a far sì che si deducano tutti i predicati del soggetto a cui tale concetto è attribuito.

A quanto pare i filosofi antichi, e con loro tanti abili pensatori… hanno avuto qualche conoscenza di quanto abbiamo esposto pocanzi [teoria delle sostanze individuali, ndr]: ciò, appunto, li ha indotti ad introdurre e mantenere le “forme sostanziali”, che ai nostri giorni sono invece tanto screditate. Ebbene, costoro non sono così lontani dalla verità, né così ridicoli come se li immagina la massa dei nostri filosofi moderni…

Sono stato a lungo persuaso della vanità di questi enti [cioè le forme sostanziali, ndr], finché, controvoglia, non sono stato costretto a reintrodurli… noi moderni non rendiamo abbastanza giustizia a S.Tommaso e ad altri grandi dotti di quell’epoca.

 G.W. Leibniz, Discorso di Metafisica, § 8, § 10-11, Rusconi, Milano 1999, pp. 79, 85, 89.

 

L’idealismo torna poi a vedere nella Forma-Idea la vera Realtà, e nella materia il mondo transeunte che è un pallido riflesso dell’Idea.

Nella vita comune si dà il nome di realtà ad ogni trovata arbitraria, all’errore, al male e ad altre cose simili, come pure a qualsiasi esistenza per quanto esile e transitoria.

La Realtà è distinta non solo dall’Accidentale, ma anche e soprattutto dall’Esserci, dall’Esistenza…

La Filosofia ha a che fare soltanto con l’Idea, la quale non è così impotente da dover-essere soltanto, senza essere realmente. Pertanto la Filosofia ha a che fare con una Realtà di cui quegli oggetti, istituzioni, contesti ecc. costituiscono semplicemente l’aspetto esterno superficiale.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 6,  Rusconi, Milano 1996, pp. 101-103.

 

Per il pensiero non può esserci nulla di più insignificante dell’Essere. O meglio, di ancor più insignificante può esserci ciò che inizialmente ci si rappresenta come essere, cioè un’esistenza esteriore sensibile, come p.es. la carta che ho davanti: in questa sede non si parla dell’esistenza sensibile, limitata e transeunte.

G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 51,  Rusconi, Milano 1996, p. 181.

 

E per finire l’opinione di un grande fisico contemporaneo, Erwin Schrödinger, che vede, nello studio delle particelle elementari, qualche cosa che già era stato prefigurato da Aristotele, quando sosteneva che qualsiasi materia appare a sua volta come unione di materia e forma, in un processo senza fine: questa tesi non può portare ad altro che, quando si giunga a considerare la materia prima ed originaria, questa sia costituita da sola Forma, cioè che anche la materia sia una realtà intelligibile, e non materiale (sensibile):

La vecchia idea [sulle particelle elementari] era che la loro individualità fosse basata sulla identità della materia che le costituiva… La nuova idea è che ciò che permette l’individuazione in queste particelle ultime o piccoli aggregati è il loro aspetto, la loro organizzazione.

L’abitudine del linguaggio usuale ci inganna, e sembra richiedere che, ogni volta che noi intendiamo pronunciare la parola “aspetto” o “forma” si debba trattare dell’aspetto o della forma di qualche cosa, che un substrato materiale sia richiesto per prendere forma. Scientificamente questa abitudine risale ad Aristotele, alla sua causa materialis e causa finalis. Ma quando si arriva alle particelle prime che costituiscono la materia, sembra che non ci sia alcuna giustificazione nel pensare di esse ancora come formate da una qualche materia.

Esse sono, come che sia, pure forme, nient’altro che forme; ciò che si ritrova in osservazioni successive è questa forma, non un pezzetto individuale di materia.

E. Schrödinger, Scienza e Umanesimo, Sansoni, Firenze 1953, pp. 29-30.

 

Ecco come Bertrand Russel descrive la sorpresa dei fisici alla scoperta dello sparire della materialità dell’essere:

E’ cominciato a sembrare che la materia, come il gatto del Cheshire (*), divenisse progressivamente diafana finché non ne è rimasto nulla salvo il sogghigno, causato, presumibilmente, dal divertimento nei confronti di coloro che pensano che sia ancora lì.

(*) Si tratta del gatto della Regina, da Alice nel paese delle meraviglie.

B. RUSSEL, Ritratti a memoria,. da J.K. POPPER, Il mondo di Parmenide, Piemme, Asti 1998, p. 283.

 

 

Una rivalutazione della Forma

 

  • I mondi virtuali

Tenterò di dare un piccolo contributo alla concezione che vede nella Forma l’origine vera delle cose.

Oggi anche l’uomo è divenuto creatore di mondi. Le realtà create dalla mente umana sono quelle virtuali, quelle create all’interno dei computers.

Esaminando queste creazioni, è possibile capire un poco meglio l’attività di una Mente Creatrice, presupponendo una certa analogia tra la nostra Ragione e quella divina, analogia dichiarata dal versetto 27 della Genesi.

Per creare un mondo virtuale, e cioè, per esempio, un videogioco, realtà che tutti conosciamo, è necessario prima di tutto definire le “Forme” che lo abiteranno.

 

Gli omini, i soldati, i cavalli, le casette, le navi e tutte le altre tipologie di “cose” o “persone” che popoleranno il videogioco, debbono essere perfettamente definiti in routines software proprie di ogni singola forma, (e non di ogni singolo esemplare). Queste routines prevedono le regole di comportamento, di trasformazione, di nascita e sparizione, di rapportazione con gli altri, ecc.

Queste “forme” saranno poi gestite da una regola generale, che rappresenta a sua volta la forma del mondo nel suo complesso.

 

  • Mondo virtuale e mondo “reale”.

Il mondo virtuale viene fatto vivere dal computer, scandagliando una dopo l’altra le singole entità (omini, cavalli, navi, ecc.), caricando nella routine “forma” propria della entità i dati propri della situazione in cui la singola entità si trova, e trasformando questi dati con la routine “forma” in nuovi dati situazionali, che vengono memorizzati per essere ripresi al prossimo turno. I dati propri dell’entità (dati situazionali), rappresentano la materia, cioè il principio di individuazione della singola entità (es. singolo omino); la routine “omino” rappresenta esattamente la forma generale di ogni omino. L’unione delle due cose è il singolo omino.

Questo funzionamento è quello che ci permette di creare i mondi virtuali, e non ne sapremmo prevedere un altro. Perchè dunque non possiamo pensare che questo modo di procedere sia lo stesso utilizzato da Dio per pensare il mondo?

 

  • Le forme sono indispensabili alla corretta visione del mondo.

Dobbiamo invece credere che l’uguaglianza di generi, specie, razze e tipologie sia frutto di una formazione o assembramento casuale di materia, senza che il termine comune che indica i singoli gruppi (forma sostanziale, o più brevemente, sostanza) rappresenti nulla di reale, ma solo una indicazione di comodo, generata dalla sola nostra mente? Ma il mondo “reale” intorno a noi smentisce da solo questa fantasia, originata unicamente dal pregiudizio ideologico di considerare vero solo ciò che è materiale, e le realtà intellettuali solamente posizioni chimico-fisiche dei nostri neuroni.

Infatti sembra logico pensare che più il mio pensiero si avvicina alla realtà delle cose, più esso funzioni meglio: meno idee errate mi riempiono la testa, più il mio comportamento sarà coronato da successi pratici. Provate quindi ad agire escludendo dalla vostra mente il concetto di sostanza, concetto falso e fuorviante per tutti i nominalisti ed i materialisti, e cioè considerate ogni singola cosa una realtà a sé stante, non accomunata con altre realtà simili se non dalla elaborazione della nostra mente, che crea in sé e coglie nella materia la somiglianza (*), una idea tutta mentale, che non ha alcun corrispettivo nella materia. Entro cinque minuti sareste ricoverati al neurodeliri, o all’ospedale: il tempo infatti di meditare sulla natura dell’oggetto sconosciuto (ma che erroneamente, prima di divenir correttamente materialisti e nominalisti, avreste subito chiamato pianta) contro il quale state andando a sbattere sarà sicuramente maggiore di quello di percorrenza per schiantarvici contro.

 

(*) Per provare che la somiglianza non esiste nella materia, fate questo piccolo esperimento mentale: considerate un bicchiere per sé stante: questo oggetto è caratterizzato da una certa quantità di materia, misurata dal suo peso, ma preso per conto suo non possiede alcuna somiglianza. Prendetene un altro: anch’esso, preso da solo, non ha alcuna somiglianza, ma ha un peso preciso, dato dalla sua materia.

Uniamo i due bicchieri nella nostra considerazione: ecco che adesso appare la somiglianza. Pesiamoli assieme: il peso dei due è pari alla somma dei pesi singoli. E allora dove è la somiglianza, in materia, se il peso non è aumentato quando essa è apparsa? Forse è una particolare azione dei due bicchieri, una volta uniti, così come ad esempio l’attrazione tra ferro e calamita? Difficile pensarlo, dato che essa persiste anche quando i due oggetti sono lontani, e ne vediamo uno in fotografia e l’altro su un disegno. La somiglianza, o è una realtà vera, a sé stante e non materiale, cioè la Forma, o esiste solo nella nostra fantasia, cioè è una situazione transitoria ed aleatoria dei nostri neuroni, che non ha corrispettivo nella realtà materiale esterna, e quindi va bandita dal pensatore laico ed in sintonia con i tempi.

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