de universis: l’etica di Bertrand

Nuova formulazione di un’etica laica

Bertrand Russell, nella sua Autobiografia, scrive:

Il desiderio di amore, l’impulso alla conoscenza e una vivissima partecipazione alla sofferenza dell’umanità, [fecero sì che]… quando dicevo che la vita buona consiste nell’amore, guidato dal sapere, avevo il desiderio di condurre, per quanto possibile, una simile vita e di vederla condotta anche da altri. E il contenuto logico della definizione consiste nel fatto che in una comunità in cui le persone vivono in questo modo, vengono soddisfatti più desideri che in una in cui c’è meno amore e meno sapere. Con ciò non intendo dire che una tale vita sia “virtuosa” o che il suo contrario sia “peccaminoso”, poiché queste sono concezioni che, a mio avviso, non si giustificano scientificamente.

Citazione tratta da: H. Küng, Dio esiste?, Mondadori, Milano 19804, p. 523.

 

Questo brano del logico e filosofo gallese riprende il tema dell’autonomia della morale e dell’etica, nell’ottica dello scientismo moderno e al di fuori di ogni riferimento metafisico.

Russell, senza dirlo espressamente, intende correggere qui le deficienze logiche che la teoria dell’etica naturale di Bentham e di Mill presentavano.

In realtà, la prima frase (Il desiderio di amore ecc.), ripropone il tema del sentimentalismo, cioè la spiegazione della presenza dell’aspirazione morale in noi con una naturale predisposizione alla solidarietà, magari dovuta all’evoluzione, che avrebbe selezionato i caratteri più favorevoli alla continuazione della specie identificandoli nella coesione sociale.

Nella seconda parte, Russell, invece, corregge  Bentham, che parlava della realizzazione del maggior utile possibile per il numero maggiore di persone come fondamento della etica razionalista, con la sostituzione del termine utile con desiderio.

Il termine utile, infatti, si presta a critiche immediate, poiché non può sussistere autonomamente, visto che l’utilità è sempre subordinata ai due termini a chi e per che cosa. La determinazione di questi due termini implica la reintroduzione del concetto di valore e di finalità, (cioè ci deve essere un utile che vale di più di un altro, in funzione della domanda utile per che cosa? o del per chi? ) concetti che ripresentano il problema dell’esistenza di valori esterni e preesistenti all’uomo.

Invece, il termine desiderio, sembra a Russell spogliato di ogni carattere problematico, essendo un elemento oggettivo, e quindi passibile di trattamento scientifico.

Responsabili del desiderio sono i singoli soggetti desideranti, all’etica non resta che trovare, con ragione ed amore (?), la soluzione ad una equazione semplice semplice: soddisfare il numero maggiore di desideri per il numero maggiore di persone.

Il buon Bertrand reputa quindi di risolvere brillantemente così uno dei problemi più difficili (ed in realtà ancora irrisolti) del pensiero laico-radicale.

 

 Prima obiezione: sull’uso del termine desiderio

  • Il desiderio non è un’entità sperimentale

Desiderio è un termine che si riferisce all’interiorità dell’uomo, all’autocoscienza. Come tale non è sperimentabile (l’autocoscienza altrui non è percepibile). Percepibile è solo la manifestazione del desiderio o della sua soddisfazione. Fondare un’etica sul desiderio significa fondarla sulle dichiarazioni esteriori a questo relative, che possono essere di varia natura: dichiarazioni, votazioni, sondaggi, manifestazioni oceaniche, libero mercato ecc.

Abbiamo visto che, nella breve storia moderna, ognuna di queste modalità è stata valorizzata ed utilizzata: quale di queste sia la migliore, resta da definire. Ma il vero problema è questo: se si deve considerare non il desiderio, ma la sua manifestazione esteriore, è importante che tra le due cose ci sia correlazione, cioè che la manifestazione sia effettivamente corrispondente a quanto sentito interiormente? E come può ciò essere scientificamente accertato, se il desiderio o la soddisfazione altrui, di per sé, non sono percepibili? Una società in cui tutti dichiarino di essere soddisfatti, come normalmente si verifica in una dittatura, è migliore di una in cui quasi tutti si dicono insoddisfatti, come avviene in democrazia? E non è questo il motivo per cui i sostenitori delle dittature difendono i loro idoli?

  • Il desiderio non è quantificabile

La scientificità della teoria di Russell, sta tutta nella possibilità di risolvere matematicamente e sperimentalmente l’equazione fondamentale, maggior numero di desideri per il maggior numero di persone.

Ma, nella soluzione di questa equazione, ammesso che tutte le persone siano uguali, quale è il modo di quantificare i desideri? Per numero o per valore (quale esso sia)?

Se si risponde per numero, che ne è dei valori e dei diritti della persona, su cui si fonda la nostra civiltà? Se la grande maggioranza di un popolo desidera fortemente lo sterminio, o anche solo la schiavitù, di una piccola minoranza (non si è forse già verificato più volte?), dobbiamo soddisfare questo desiderio?

Se si risponde per intensità, chi la misura? Ha più ragione chi grida di più? O si affida la valutazione ad una commissione di esperti o di psicologi?

Se invece si risponde per valore (cioè si ammette che qualche desiderio è più degno di essere soddisfatto di altri),  chi  determina questo valore?  Bertrand  Russel  ed  i  Radicali?

Lo definisce la maggioranza (e ricadiamo nel primo caso), o esistono valori preesistenti al calcolo, e allora ricadiamo nella Metafisica?

  • Ogni persona ha diritto ad un numero fisso di desideri?

Altro problema che si pone: i desideri vanno considerati per sé, o in relazione a chi li esprime?

Se vanno considerati per sé, le persone che hanno pochi desideri (normalmente i poveri ed i semplici) valgono meno delle persone che hanno un numero maggiore di desideri (normalmente i ricchi o gli intellettuali), che possono influire maggiormente sulle scelte.

Se invece si deve considerare, insieme al desiderio, chi lo ha espresso, ecco presentarsi tutti i problemi relativi ai criteri di tale considerazione.

Definire un numero fisso di desideri per ogni persona, ci trascina in una contabilità ridicola ed impossibile: ma è la formulazione stessa che è vuole richiamarsi a concetti contabili dove la contabilità ha poco corso.

  • Il termine Desiderio è in realtà la riformulazione laica del termine Fine

Tutte le difficoltà prospettate tolgono un poco di brillantezza alla proposizione di Russell, impedendo la facile risoluzione del problema, e quindi mettendo in dubbio la scientificità della asserzione, in quanto scarsamente misurabile.

In realtà, queste difficoltà sono la conseguenza del fatto che Russell non ha affatto cambiato i parametri del gioco. Il termine  desiderio nasconde infatti il tradizionale termine fine (scopo): desiderare qualche cosa significa porla come proprio fine.

Già Aristotele aveva parlato del Bene come Fine, senza attendere i laici moderni, e tutto il Medioevo aveva ripetuto che nulla si desidera nisi sub specie boni, cioè se non perché lo si crede un bene.

Aristotele, alle prime righe della sua Etica Nicomachea, scrive:

Comunemente si ammette che ogni arte esercitata con metodo, e, parimenti, ogni azione compiuta in base ad una scelta, mirino ad un bene: perciò, a ragione, si è affermato che il bene è “ciò a cui ogni cosa tende”.

Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1, Rusconi, Milano 984, p. 51

 

E San Tommaso, nel De veritate:

Qui enim vult fornicari, quamvis sciat in universali fornicationem malum esse, tamen iudicat sibi ut nunc bonum esse fornicationis actum, et sub specie boni ipsum eligit…  

Voluntas enim naturaliter tendit in bonum sicut in suum obiectum; quod autem aliquando in malum tendat, hoc non contingit nisi quia malum sibi sub specie boni proponitur. 

(Chi infatti vuole fornicare, anche se conosce che la fornicazione in generale è un male, la reputa in quel momento e per sé un bene, e la desidera in quanto bene…

La volontà infatti tende naturalmente al bene come suo oggetto: anche quando tende al male, ciò non accade se non perché essa lo propone a se stessa come un bene.)  

Tommaso d’Aquino, De veritate, q. 24 a. 2 co., 8 co., www.corpusthomisticum.org.

 

Anche il fornicatore, come chiunque faccia il male, comunque lo fa in quanto lo reputa, in quel caso e per sé, un bene.

Russell vuole in realtà zappettare in un orticello in cui già troppi hanno piantato e seminato, e difficilmente si possono raccogliere ortaggi di nuova specie.

Il suo desiderio, correttamente interpretato, nasconde il termine fine e quindi di bene, con tutto ciò che questo comporta in relazione alla possibile definizione di questo.

 

  • Seconda obiezione: ma chi l’ha detto?

In verità, l’obiezione più esiziale per la teoria di Russel, è sempre quella: ma chi lo ha detto? Se il fondamento dell’etica è, in fondo, la soddisfazione di un tuo desiderio o predisposizione (quel desiderio di amore di cui egli parla), chi ha detto che questo debba coinvolgere anche me?

Non è più logico che il principio sacrosanto sia invece quello che il maggior numero di persone tendano a soddisfare il maggior numero di miei desideri?

E non è forse questo lo scopo ed il desiderio del maggior numero di persone?

  • Il desiderio del signor Bertrand

In realtà, quest’ultimo e anche il principio che muove Russell: è il suo desiderio di amore, l’impulso alla conoscenza e una vivissima partecipazione alla sofferenza dell’umanità che lo spingono a volere il bene del prossimo, che egli vuol vedere soddisfatto dal maggior numero di persone possibili. Ma tale desiderio rimane assolutamente  inspiegato, ed inspiegabile se non vogliamo parlare di Bene e di Male, di virtù o di peccato, come dice Russell stesso, perché questi sono concetti non scientifici.

Ma allora, perché questo desiderio di Russell merita più considerazione di quello di qualsiasi altro, se non possiamo ritenerlo migliore? Questo, dal punto di vista scientifico, è il desiderio del signor Bertrand e nulla più, assolutamente identico in valore al desiderio del signor Adolfo, che desiderava tanto bruciare gli ebrei, e del signor Giuseppe, che smaniava invece di tenere al freddo siberiano un numero imprecisato, ma si parla di alcune decine di milioni, di suoi simili che gli stavano di traverso.

Il signor Adolfo ed il signor Giuseppe poterono soddisfare i loro desideri meglio di quanto potè il signor Bertrand, perché trovarono un numero di persone maggiore di quello trovato da Bertrand, che erano d’accordo con loro nel volere le stesse cose.

Da soli non ci sarebbero riusciti, ma con l’aiuto dei più (il maggior numero di persone possibile, nella felice formulazione del signor Bertrand), ci riuscirono, e questo dovrebbe riempire il cuore di felicità del signor Bertrand, del signor Russel, del signor Bentham e di tutti quelli che non vogliono sentir parlare di Bene e di Male nella formulazione dei principi che devono muovere l’Umanità.

Non è proprio questo il principio dell’etica del signor Bertrand?

  • I desideri degli altri

Alle persone che ricercano la propria soddisfazione, ad esempio scannandone delle altre, di quali desideri andrai parlando?  E in che modo vorrai giustificare il fatto che essi devono seguire i tuoi desideri e la tua etica e non i loro desideri e la loro etica, se non esiste né virtù né peccato?

Ad essi potrai dire: fate come dico io, o finirete in prigione. Ma questa, tolto ogni fondamento metafisico, è solo l’etica del più forte. Riuscirai a metterli in prigione solo se sei più forte.

E se questi ti rispondono, come accade: fai come diciamo noi, o ti sgozziamo moglie e figli e ti bruciamo la casa?

Chi ha ragione, in questo caso, il più forte, il più convincente, o esiste un valore al di sopra della forza, su cui fondare il giudizio, e quale?

  • Ma l’etica del desiderio non è del tutto nuova

D’altro canto, non è stato per la soddisfazione del maggior numero di propri desideri, che l’umanità ha conosciuto ogni genere di orrori, di guerre e di soprusi?: eppure ogni volta qualcuno ti diceva che agiva in vista del maggior numero di desideri del maggior numero di persone possibile, e che l’orrore sarebbe stato solo transitorio!

Il risultato dell’etica del desiderio, al posto di quella fondata sul diritto, è quanto di più bestiale si possa immaginare (ed è infatti questo il principio su cui si regolano le bestie).

Anche Russell non riesce a darci alcun fondamento per un’Etica che soddisfi le elementari esigenze di Giustizia che sono nell’uomo, rimanendo coerente con la sua Ragione, senza fondarla su una idea di  Bene e di Giusto che sia trascendente l’umano, così come scoprì Platone e con lui l’intero pensiero Occidentale.

In particolare, quando si tratti delle cose giuste e delle ingiuste, delle brutte e delle belle, delle buone e delle cattive, intorno alle quali dobbiamo ora decidere, forse dovremo dare retta all’opinione della gente ed averne timore, o dovremo, invece, dare retta al parere di quell’unico, se mai ci sia, che se ne intende, del quale solo bisogna avere rispetto e timore, più che di tutti gli altri insieme?

E se non lo seguiremo, guasteremo e corromperemo ciò che in noi con la giustizia diventa migliore e con l’ingiustizia si corrompe.

Oppure questo non è niente?…

E allora, carissimo, non dobbiamo darci affatto pensiero di quello che di noi potrà dire la gente, ma solo di quello che potrà dire colui che si intende delle cose giuste e di quelle ingiuste, il quale è uno solo ed è la stessa Verità.

Platone, Critone, 47 C-D, 48 A-B, Rusconi, Milano 1996, pp. 121, 125.

(indietro)                                                                                                                                 (segue)