Prima obiezione: la Materia è frutto di farneticazione
La definizione di materia, come ebbe a dire Hobbes e così come è ripresa oggigiorno, è questa:
“Materia è tutto ciò che esiste indipendentemente dal Pensiero”.
Questa definizione, che lega indissolubilmente il concetto di materia a quello di Pensiero, individuando la prima proprio dalla sua assoluta indipendenza dal secondo, è in realtà un ossimoro, ossia una contraddizione di termini.
La prima contraddizione sta nella stessa forma di questa definizione: una cosa che esiste indipendentemente da un’altra, non deve essere definita in funzione di quest’ultima; se poi si pretende che la Materia sia causa del Pensiero, a maggior ragione la causa precede l’effetto e non deve essere definita da quello, se non in forme di definizione accessorie.
Ma la contraddizione maggiore sta altrove.
Ciò che esiste indipendentemente dal Pensiero non può, per definizione, essere pensato, e quindi tanto meno definito: lo stesso tentativo di definizione costituisce quindi già di per se stesso il primo elemento della contraddizione.
Definire è una attività propria del Pensiero, ed il solo proferire la prima parte della definizione: “La materia è”, preclude la seconda parte, così come la frase “Il bianco è” preclude la conclusione “di colore nero”.
Ma non occorre giungere alla definizione: il solo pronunciare o pensare il termine implica l’intervento del Pensiero: il nome stesso di Materia comporta l’impossibilita dell’esistenza indipendente di questa, in quanto solo il Pensiero è in grado di nominare, cioè di attribuire un nome a qualcosa.
Per finire, questa definizione di Materia è assolutamente non scientifica: nulla può venir sperimentato al di fuori del Pensiero, né alcuna esperienza empirica potrà mai darsi indipendentemente da questo (*).
Se scientifico è ciò che deriva dall’esperienza empirica e può venir sottoposto ad esperimento, quello di Materia non è un concetto scientifico.
Potremmo quindi pensare che esso è un concetto Metafisico: ma i concetti di tale natura, anche se non sottoponibili ad esperimento sensibile, devono sottostare alla condizione di non contraddizione con i propri presupposti. Ma la Materia non soddisfa alla legge di non contraddizione, come già visto.
È quindi un termine senza senso, frutto di mera fantasia.
Ma la fantasia che non risponde a minime condizioni di razionalità chiamasi farneticazione.
(*) E’ esperienza comune e banale il constatare la permanenza nell’essere di cose anche mentre non le stiamo pensando. Questo potrebbe indurci a credere possibile organizzare un esperimento che confermasse questo fatto, esperimento che documentasse la facoltà della materia di sussistere indipendentemente dal pensiero. Ma una cosa è l’esperienza, un’altra un esperimento; questo deve avvenire in condizioni controllate: e mai si potrà controllare che nessuno stia pensando alla cosa sottoposta ad esperimento, né in un dato istante, perché la si penserebbe, né successivamente, perché nessuna certezza abbiamo dei pensieri altrui.
Difesa
La definizione di Materia non comporta la sua assoluta indipendenza dal Pensiero, cosicché essa non possa o non debba mai essere pensata o percepita. E’ sufficiente che essa possa esistere o sussistere anche per brevi istanti senza che alcuno la pensi o la percepisca. Pertanto le obiezioni poste non hanno valore: anche se talora debbo pensare alla Materia, ad esempio per definirla, questo non comporta che in altre occasioni, quando io non la penso, essa non possa continuare ad esistere per conto suo, lontana da definizioni e sofismi.
Seconda e definitiva obiezione
Se la cose stanno così, trasferiamo semplicemente la prima obiezione al concetto di materia agli istanti, lunghi o brevi, in cui questa esiste fuori dal pensiero.
Questi istanti, indispensabili alla definizione di Materia, ricadono in tutto nelle difficoltà cui prima sottoponevamo il concetto di Materia.
Sono questi istanti ad essere indefinibili, impensabili, impronunciabili, non sperimentabili.
Frutto di farneticazione e misticismo ateo.
Ma se la Materia è definita propriamente da questi istanti, solo nei quali è garantita la sua indipendenza dal Pensiero, il concetto di Materia torna ad essere indefinibile, impensabile, non sperimentabile, esattamente come già denunciato.
La tesi di Berkley
Il filosofo e vescovo anglicano Berkley allarga la contraddizione tra materia a pensiero anche alla percezione, cioè afferma contraddittorio l’affermare la possibilità di esistenza di qualche cosa che non venga percepito. Pertanto egli è il padre del famoso detto esse est percipi (essere significa essere percepito). La realtà del mondo intorno a noi è data dal fatto che esso viene percepito da Dio, il quale trasmette a noi le sue percezioni.
Non sono d’accordo con lui, perché noi possiamo benissimo pensare (e perciò definire) cose mentre non le percepiamo, mentre non possiamo pensarle mentre non le pensiamo. In realtà Berkley concepisce il pensiero come una percezione attenuata. Ciò non è vero: il pensiero è infinitamente più complesso della semplice percezione. Altrimenti dovremmo giudicare il ragionamento logico o matematico inferiore al semplice vedere o sentire, di cui sono capaci anche gli animali, che non lo sono invece del pensiero astratto (o così ci sembra).
Perciò, quello che Berkley afferma della percezione, va invece attribuito direttamente al pensiero.
Da dove nasce il concetto di Materia?
- Natura della nostra conoscenza
Noi siamo indubitabilmente sicuri solo di pochissime cose. Il resto della nostra conoscenza è frutto unicamente di ipotesi, che noi accettiamo fino a quando non contrastino con la Ragione o non siano smentite da ciò che sperimentiamo, e che ci poniamo per spiegare quello che vediamo, per prevedere quello che succederà e per poter agire.
Noi siamo indubitabilmente certi della nostra esistenza, come esseri pensanti ed autocoscienti. Siamo anche certi di stare pensando a certe cose, mentre le pensiamo, e di percepire certe sensazioni, mentre le percepiamo, come pure di avere certi sentimenti, o certi ricordi. Ma solo nel momento in cui li sentiamo o ricordiamo. Qui si esauriscono le nostre certezze: ogni altra conoscenza ha carattere unicamente ipotetico.
Dei ricordi, in particolare, non possiamo essere certi che corrispondano a cose effettivamente accadute: questa è già una prima ipotesi che poniamo, per costruire la Realtà mentale nella quale viviamo.
Tutto quello di cui siamo certi sta all’interno della nostra Mente, cioè del nostro Io autocosciente. Ma tra gli oggetti interni alla nostra Mente distinguiamo due grandi famiglie: alcuni di questi sono da noi manipolabili come vogliamo; possiamo farli sorgere o cancellarli; svilupparli o modificarli a volontà. Questa parte della nostra Mente la chiamiamo Pensiero. Il Pensiero, a sua volta lo dividiamo in due parti: quello che corrisponde all’Io, e quello che risulta esterno all’Io.
Altri oggetti mentali, invece, non sono così facilmente modificabili: io vedo un tavolo di fronte a me. Chiudo gli occhi, e non lo vedo più. Ma per quanto io mi sforzi di cancellarlo dalla mia mente, quando riapro gli occhi, esso è ancora lì, inesorabilmente. Questi oggetti mentali li chiamiamo sensazioni.
- Il mondo esterno e la Materia
Le sensazioni mi fanno ipotizzare che esista qualche cosa al di fuori del mio Io, che le causa in me. Questa ipotesi risulta più probabile e credibile di quella secondo la quale anche il mondo esterno (così chiamiamo questi oggetti, per ora solo mentali) sia completamente una mia creazione; inoltre non contrasta con la mia Ragione e non viene contraddetta da nulla.
Pertanto la accettiamo, perché necessaria per proseguire ulteriormente nel cammino della conoscenza.
Notiamo anche, analizzando i nostri ricordi, che queste cose esterne a noi sembrano perdurare anche quando noi non le percepiamo o non le pensiamo.
Pertanto attribuiamo, sempre per ipotesi, a queste cose, che ora per semplicità chiamiamo cose materiali o semplicemente Materia, la facoltà di esistere indipendentemente dal nostro Pensiero.
Da questo passo, condiviso da tutti, o quasi (solo pochissimi, i cosiddetti solipsisti od egoisti, continuano a credere che anche il mondo esterno sia frutto del nostro Pensiero), senza un particolare bisogno logico o altri elementi che inducano a crederlo, ma solo per estensione del concetto e per loro preferenze ideologiche, alcuni ipotizzano che la Materia abbia natura assolutamente diversa da quella del Pensiero e sussista indipendentemente dal Pensiero stesso.
In tal modo nasce la definizione di Materia, che abbiamo più sopra trovato contraddittoria, di tutto ciò che esista indipendentemente dal Pensiero.
- Una nuova ipotesi, meno contraddittoria
Quando le ipotesi da noi poste per spiegarci la Realtà risultino contraddittorie, il corretto meccanismo della conoscenza prevede che le si corregga nella parte contraddittoria, o che se ne formulino delle altre.
Poiché abbiamo trovato non solo contraddittoria, ma addirittura impossibile a formularsi la definizione di Materia come cosa che esista in modo assolutamente indipendente dal Pensiero, proviamo a correggere questa definizione, e vediamo se la nuova riesce a superare le contraddizioni ed a soddisfare l’esperienza.
La nuova definizione potrebbe essere:
Materia è ciò che esiste indipendentemente dal nostro pensiero, e che noi possiamo, in determinate circostanze, percepire attraverso le sensazioni e pensare nella nostra mente.
Questa definizione corrisponde alla nostra esperienza e non è più contraddittoria: infatti, il fatto di poter esistere mentre noi non la pensiamo non è più parte integrante della definizione, ma solo una caratteristica accidentale: non prevedendosi che la Materia esista in forma assolutamente indipendente dal Pensiero, essa può essere pensata in ogni istante, senza annullarne la natura, e quindi può venir definita, pensandola.
In realtà questa definizione ha un difetto: anch’essa definisce la materia attraverso una caratteristica negativa, la non dipendenza dal nostro pensiero, e non attraverso una sua natura positiva. La definizione andrebbe perciò modificata in:
Materia è ciò che esiste perché pensato da una Mente, e che noi possiamo, in determinate circostanze, percepire attraverso le sensazioni e pensare nella nostra mente.
Questa definizione risulta logicamente perfetta e, io sostengo, anche scientifica, in quanto sperimentabile, contrariamente all’altra.
Infatti, anche se non possiamo sperimentare l’origine della Materia come frutto di una Mente, occorre tener conto che un esperimento non prova mai la legge fisica, così come espressa, ma sperimenta le sue conseguenze, cioè osserva se i fatti sperimentati corrispondano a quelli che si avrebbero se la legge fosse vera e che non contrastino con essa.
E visto che risulta illogico il contrario, cioè che la Materia non sia pensata, la definizione così espressa è, per così dire, logicamente forzata.
Tutto il resto che noi possiamo sperimentare, o che è frutto della nostra esperienza, non contrasta in nulla con questa definizione, mentre questa è l’unica definizione logica che giustifica il perdurare della materia al di fuori del nostro pensiero.
E questa è la sesta prova dell’esistenza di Dio.