Funzione e poteri del Presidente della Repubblica
Art. 87 – Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.
Può inviare messaggi alle Camere.
Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.
Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.
Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.
Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.
Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.
Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.
Presiede il Consiglio superiore della magistratura.
Può concedere grazia e commutare le pene.
Conferisce le onorificenze della Repubblica.
Art. 88 – Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Art. 89 – Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Art. 90 – Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Questi sono gli articoli della Costituzione italiana che definiscono la figura del Presidente della Repubblica.
La figura del Presidente viene concepita dai Costituenti, chiaramente, sulla falsariga di quella di un Re costituzionale, essendo stata appena deposta la Monarchia.
La sua funzione è quella di supremo garante della corretta funzionalità dello Stato e dei tre Poteri, di fronte al Popolo ed alla Nazione: la Presidenza è concepita come ultima difesa della Legalità, di fronte al fuorviarsi di una qualsiasi delle altre funzioni dello Stato.
Il potere che egli ha è quello di impedire , secondo una consuetudine antichissima, che va dal reciproco potere di veto dei due consoli di Roma, al potere dei Tribuni della Plebe, al potere di veto sul Legislativo della costituzione americana, ecc.
Ecco come Montesquieu parla di questo potere:
Chiamo facoltà di statuire il diritto di ordinare da sé, o di correggere quello che è stato ordinato da un altro. Chiamo facoltà di impedire il diritto di annullare una risoluzione presa da qualcun altro; ed era questo il potere dei tribuni romani.
Lo spirito delle Leggi, Libro XI, cap. VI.
L’articolo 89 definisce in modo chiarissimo questo potere ed i suoi limiti. Nessun atto del Presidente è valido se non è stato proposto da un ministro o dal Presidente del consiglio, che ne assumono la responsabilità, controfirmandolo. Ma, evidentemente, il Presidente può rifiutare di promulgarlo, visto che a lui viene dato questo potere.
Il potere di rifiuto è limitato ad una volta nel caso di leggi votate dal Parlamento.
Il Presidente è protetto da ogni possibile pressione dall’articolo 90 che lo rende irresponsabile penalmente dei suoi atti.
Vi è solo una eccezione, necessaria, a questa regola, ed è stabilita dall’articolo 92, che prevede la nomina del Presidente del Consiglio da parte del Presidente della Repubblica: in questo caso non può esservi ministro proponente, visto che non ci sono ancora i ministri. Subito dopo, però, si ricade nella regola generale: è il Presidente del Consiglio che propone il nome dei ministri.
E la nomina del Governo è sottoposta poi al voto della Camera.
Art. 92 – Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.
Scioglimento delle Camere
La lettura del testo della Costituzione e le successive precisazioni ci permettono di osservare che tutto ciò indica che anche il potere di scioglimento delle Camere, previsto dall’articolo 88, dovesse essere subordinato alla proposta del Presidente del Consiglio, ed attuato dal Presidente della Repubblica, cui competeva solo il diritto di rifiutarsi. Nessuna possibilità di opporsi viene invece attribuita dalla Costituzione alle Camere stesse.
Questa facoltà è in perfetto accordo con la normale prassi in uso nelle monarchie costituzionali, dove ogni atto del Monarca deve essere proposto dal Capo dei ministri, ed alla quale è naturale si siano ispirati i Costituenti.
Era, ed è, assolutamente normale che lo scioglimento delle Camere fosse proposto dal Capo del Governo al Re.
La possibilità di chiedere lo scioglimento delle Camere avrebbe rappresentato l’unica possibilità concessa al potere esecutivo di sottrarsi alla stretta mortale del legislativo.
Ma ha ragione Montesquieu:
Se il potere esecutivo non ha il diritto di bloccare le iniziative del corpo legislativo, questo diventerà dispotico; poiché, siccome potrà darsi tutto il potere che potrà immaginare, annienterà tutti gli altri poteri. … Se il potere legislativo prende parte all’esecuzione, il potere esecutivo sarà egualmente perduto.
Lo spirito delle Leggi, Libro XI, cap. VI.
Presa del potere da parte dei partiti
La presa del potere da parte del legislativo, e tramite questo da parte dei partiti, avvenuta in Italia fin dall’inizio, vede nella Presidenza della Repubblica una vicenda emblematica.
Lo scioglimento delle Camere in mano al Presidente del Consiglio poteva costituire un eccessivo freno allo strapotere della classe politica, e così fin da subito si stabilì che l’articolo 89 era probabilmente frutto di un refuso: nessun atto vuol dire quasi nessuno, oppure quasi tutti, oppure solo quelli che diciamo noi. I poveri Costituenti non conoscevano l’uso della lingua italiana, pertanto si rendeva necessaria qualche piccola interpretazione di quello che avevano scritto in modo così poco chiaro!
Lo scioglimento delle Camere viene quindi assegnato, per prassi, cioè per indiscussa ed indiscutibile abitudine, al solo Presidente della Repubblica, proseguendo nella distruzione di ogni potere autonomo dell’esecutivo.
Poiché però anche questo può costituire un vincolo per il legislativo, ecco, in questi ultimi tempi apparire questa interpretazione: il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere solo se queste non sono in grado di formare un Governo, altrimenti il suo è un vero e proprio colpo di Stato. Ma questo non è scritto da nessuna parte della Costituzione, e costituisce il vero colpo di Stato da parte dei partiti, che annullano ogni possibilità di controllo a loro sfavore.
Le mani dei partiti sui soldi pubblici
Si era iniziato con il superamento della proibizione posta dall’articolo 81 all’emendabilità del bilancio dello Stato, con l’invenzione della Legge finanziaria, con la quale i partiti mettono le mani sui soldi pubblici.
Poi ci si impadronisce di ogni controllo che possa limitare la possibilità di crearsi con i soldi pubblici uno strumento invincibile di mantenimento ad oltranza del potere, togliendo dalle mani del Presidente del Consiglio la possibilità dello scioglimento delle Camere; quindi si toglie questo potere anche al Presidente della Repubblica.
Il metodo utilizzato è molto semplice: basta affermare, con la più bella faccia tosta, che la Costituzione prevede proprio questo, non leggendo mai il testo di questa, e fidando dell’ignoranza generale, nella fedeltà dei giornalisti di regime di regime e nell’indottrinamento delle masse.
Il caso esemplare del Potere di Grazia
Abbiamo da poco assistito ad una pagliacciata del genere (se purtroppo non fosse una tragedia: ma il termine pagliacciata è giustificato dalla presenza di un pagliaccio che ha trasformato in farse anche gli scioperi della fame e della sete), nel caso del potere di grazia e commutazione della pena.
Come si può facilmente osservare, leggendo il testo costituzionale, questo potere del Presidente della Repubblica non è in alcun modo distinto dagli altri assegnatigli, e pertanto sottoposto come gli altri all’articolo 92. Ma, poiché in quei giorni interessava a certi partiti concedere la grazia a certi detenuti, per i quali il Ministro di Giustizia non la voleva proporre, ecco spuntare per incanto torme di costituzionalisti che ci spiegano come invece la Costituzione prevede indubitabilmente che questo sia un potere del solo Capo dello Stato (altro nome del Presidente della Repubblica), in quanto erede del potere sovrano del Monarca.
La Corte Costituzionale, secondo la quale la Costituzione non è un testo da leggere, ma da interpretare secondo gli umori politici del momento, si affretta a smentire la giurisdizione precedente ed a dare ragione ai partiti dello schieramento politico che ne forma la maggioranza.
Il risultato è quello di aver dato ad un solo uomo il potere di Monarca assoluto: potendo concedere autonomamente la grazia, o commutare le pene, senza averne alcuna responsabilità penale, il Presidente della Repubblica potrebbe graziare gli scherani che avessero assassinato i suoi avversari, ovvero commutare la pena di una multa stradale, nell’ergastolo contro un suo oppositore politico: e tutto questo senza alcuna possibilità di opposizione legale da parte di alcuno!
Controllo del potere Giudiziario
Esattamente al contrario si è proceduto nel togliere o rendere assolutamente vano uno dei poteri di controllo del Presidente: quello sul potere giudiziario. Come già sostenuto nel capitolo riguardante la Giustizia, in uno Stato civile nessun potere può esercitarsi senza controllo, e nessun controllo può esercitarsi su se stesso. Il controllo sul potere giudiziario è assegnato dalla Costituzione al Consiglio superiore della Magistratura. Ma anche qui i Costituenti fecero un pasticcio, poiché stabilirono che questo fosse eletto per i due terzi dai magistrati stessi, e per un terzo dal legislativo. Misero perciò i lupi di guardia all’ovile (in questo caso le pecore sono i cittadini). Attribuirono però, anche in questo caso, il potere di impedire al Presidente della Repubblica, assegnandogli la Presidenza del CSM. Il Presidente può togliere un argomento dall’ordine del giorno, ed impedirne la discussione, ovvero può non promulgare una delibera assunta. Ma per consuetudine, questa funzione viene ceduta al vicepresidente del CSM, e non viene mai utilizzata per cose importanti, se non per i discorsi di inaugurazione. Vi è stato un solo Presidente che ha rivendicato questo ruolo, in una inutile battaglia contro gli abusi del Consiglio: l’on. Cossiga. Che si guadagnò, unico fra tutti, una denuncia per attentato alla Costituzione!