Organizzazione dello Stato: la Separazione dei Poteri

La teoria di Montesquieu

Charles Louis de Secondat, barone de la Brede e de Montesquieu scrive, nella prima metà del ‘700, un’opera che resterà fondamentale per la costruzione dello stato liberale moderno e contemporaneo: Lo spirito delle Leggi (De l’esprit des lois).

E’ curioso constatare che, in tale opera, l’interesse culturale dell’Autore non è quello di descrivere lo stato liberale, ma quello di studiare quale sia l’influsso delle leggi sugli Stati che se ne dotano, qualsiasi siano le leggi e qualsiasi siano gli Stati. Pertanto, gran parte del libro si sofferma ad esaminare gli effetti dei vari tipi di leggi sugli Stati e sulle Civiltà trascorse. Nella seconda parte del libro, l’Autore prova ad ipotizzare quali siano le leggi che devono essere emanate, allo scopo di ottenere certi risultati, ad esempio per sviluppare nello Stato una capacità militare, sia difensiva che offensiva (le due cose prevedono leggi diverse).

Si giunge così ai libri undicesimo e dodicesimo, dove Montesquieu esamina quali leggi debbano essere emanate per garantire la libertà all’interno dello Stato.

In questi capitoli egli si ispira dichiaratamente alle leggi allora vigenti in Inghilterra, che, secondo lui, sono quelle che maggiormente, tra le leggi conosciute, garantiscono la libertà delle istituzioni e dei cittadini.

La tesi sostenuta è quella, poi universalmente accettata, che solamente la separazione dei poteri, individuati in legislativo, esecutivo e giudiziario, garantisce queste libertà.

Infatti, ogni qual volta anche solamente due di tali poteri si trovano uniti nella stessa persona o nella stessa categoria di persone, il potere concentrato in queste sole mani porta al dispotismo ed alla prevaricazione.

DELL’ OGGETTO DEI DIVERSI STATI

Per quanto tutti gli Stati abbiano, in generale, uno stesso fine, che è quello di conservarsi, ogni Stato ne ha tuttavia uno che gli è particolare. L’ingrandimento era il fine di Roma; la guerra, quello di Sparta; la religione, quello delle leggi giudaiche; il commercio, quello di Marsiglia; la tranquillità pubblica, quello delle leggi della Cina; la navigazione, quello delle leggi dei Rodii; la libertà naturale è il fine dell’ordinamento dei selvaggi; in generale, il piacere del principe, quello degli Stati dispotici; la gloria sua, e dello Stato, quello delle monarchie; l’indipendenza di ogni privato è il fine delle leggi della Polonia, e in conseguenza, l’oppressione di tutti.

Vi è anche una nazione al mondo che ha per fine diretto della propria costituzione, la libertà politica. Esamineremo i principi su cui la fonda. Se sono buoni, la libertà vi si rifletterà come in uno specchio.

Per scoprire la libertà politica nella costituzione non occorre un grande sforzo. Se si può vederla dov’è, se si è trovata, perché cercarla?

DELLA COSTITUZIONE DELL’INGHILTERRA

Vi sono in ogni Stato tre specie di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, ed il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto civile. Grazie al primo, il principe o il magistrato fa delle leggi per un certo tempo o per sempre e emenda o abroga quelle che sono già fatte. Grazie al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, organizza la difesa, previene le invasioni. Grazie al terzo, punisce i delitti, o giudica le controversie dei privati. Chiameremo quest’ultimo potere giudiziario e l’altro semplicemente potere esecutivo dello Stato. La libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; e condizione di questa libertà è un governo organizzato in modo tale che nessun cittadino possa temere un altro. Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà; perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano delle leggi tiranniche per eseguirle tirannicamente. E non vi è libertà neppure quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo o da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. Tutto sarebbe perduto se un’unica persona o un unico corpo di notabili, di nobili o di popolo esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le risoluzioni pubbliche e quello di punire i delitti o le controversie dei privati.

Charles-Louis de Secondat de Montesquieu, Lo spirito delle Leggi, Libro XI,  capp. V e VI.

 

La prima, grande Costituzione moderna, nata dall’influenza della teoria della separazione dei poteri, fu quella americana del 1776. Ecco come inizia e si sviluppa nei suoi primi articoli:

PREAMBOLO
Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra Unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità all’interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà, decretiamo e stabiliamo questa Costituzione degli Stati Uniti d’America.
Articolo 1
Sezione 1. – Tutti i poteri legislativi conferiti col presente atto sono delegati ad un Congresso degli Stati Uniti, composto da un Senato e da una Camera dei Rappresentanti. …

Articolo 2
Sezione 1. – II Presidente degli Stati Uniti d’America sarà investito del potere esecutivo.

Articolo 3
Sezione 1. – II potere giudiziario degli Stati Uniti sarà affidato ad una Corte Suprema e a quelle Corti di grado inferiore che il Congresso potrà di volta in volta creare e costituire. I giudici della Corte Suprema e quelli delle Corti di grado inferiore conserveranno il loro ufficio finché non se ne renderanno indegni con la loro condotta (during good behavior), e ad epoche fisse riceveranno per i loro servizi un’indennità che non potrà essere diminuita finché essi rimarranno in carica.

Questa Costituzione dura da circa duecento e cinquanta anni, ed è tuttora validissima e vitale. Quanta differenza con la nostra Italietta fondata sul lavoro, espressione di cui nessuno sa spiegare il significato, se non come un tributo alla componente marxista della Costituente!

Da una parte un popolo che promulga al fine della difesa della sua Libertà, dall’altra un gruppo di politicanti confusionari, che danno origine ad una struttura costituzionale inficiata da gravissime imperfezioni teoriche e da impossibilità pratiche, e che non la fanno neppure approvare dal popolo attraverso un referendum!

 

 

Funzione dei tre poteri

Per maggiore chiarezza, riassumo brevemente quale è la natura dei tre poteri:

  • il potere legislativo è quello che emana le Leggi, cioè quelle regole generali di comportamento che valgono sempre e per tutti;
  • il potere esecutivo deve invece prendere quelle decisioni che valgono una sola volta, o un numero limitato di volte, cioè gli atti esecutivi, che vanno gestiti rispettando le leggi; per fare un semplice esempio, il potere legislativo stabilisce le norme che occorre rispettare quando si deve costruire un ponte, ma la decisione di quali ponti effettivamente costruire è dell’esecutivo, che decide conformemente alle norme fissate dalle leggi;
  • il potere giudiziario giudica chi viola la legge o delle controversie tra i cittadini, applicando le leggi emanate dal legislativo.

In base a questi principi, risulta abbastanza evidente che il potere legislativo non dovrebbe prendere decisioni di natura esecutiva, delle quali tipico esempio sono le leggi di spesa (le cosiddette leggine): deve invece fissare le regole con le quali si spende e, secondo Montesquieu, addirittura l’ammontare totale della spesa consentita, che verrà gestita, voce per voce, dal Governo.

Vediamo che questi principi sono del tutto stravolti nella gestione del Potere in Italia.

 

 

Evidente inadeguatezza della Costituzione italiana

La grande forza della Costituzione americana sta nella sua precisa fondazione teorica: i poteri vi sono chiaramente stabiliti e altrettanto chiaramente separati ed indipendenti l’uno dall’altro. Il Presidente, che detiene il potere esecutivo, è eletto direttamente dal popolo, nomina in modo autonomo il Governo ed è protetto da ingerenze del Congresso da varie garanzie, tra cui il diritto di veto.

Il diritto di veto dell’esecutivo è previsto esplicitamente da Montesquieu:

Se il potere esecutivo non ha il diritto di bloccare le iniziative del corpo legislativo, questo diventerà dispotico; poiché, siccome potrà darsi tutto il potere che potrà immaginare, annienterà tutti gli altri poteri. Non bisogna però che il potere legislativo abbia reciprocamente la facoltà di bloccare il potere esecutivo. Infatti, poiché l’esecuzione ha i suoi limiti per la sua stessa natura, è inutile limitarla; oltre che il potere esecutivo si esercita su cose del momento.

Lo spirito delle Leggi, Libro XI,  cap. VI.

 

Il potere giudiziario, nominato dal Congresso, vede la sua indipendenza difesa dalla successiva inamovibilità e dalla salvaguardia addirittura dei compensi stabiliti, che divengono intoccabili.

 

In Italia si fa esattamente il contrario: il potere esecutivo viene nominato dal legislativo, e ne è perennemente minacciato di esautorazione.

Inoltre il potere legislativo interviene di continuo sugli atti esecutivi (leggi di spesa), pretendendo non solo di approvarle, ma addirittura di emanarle in modo autonomo dall’esecutivo.

A sua volta l’esecutivo promulga leggi sotto forma di decreti (che però, almeno, devono essere approvati dal legislativo.).

Dall’altro lato si ha un potere giudiziario assolutamente incontrollato ed irresponsabile, che invade il potere dell’esecutivo gestendo in proprio la funzione inquirente, comandando la polizia giudiziaria e curando la amministrazione delle carceri.

Il risultato è un Governo perennemente debole ed incapace di risolvere i problemi del Paese; un potere legislativo che, invece di pensare ad emanare leggi, si preoccupa di conservare i propri voti blandendo i propri elettori con un uso dissennato della spesa pubblica; un potere giudiziario che, unendo sotto una sola giurisdizione chi porta in giudizio e chi giudica, e per di più agendo senza controllo e senza tema di rispondere dei propri errori, mette ormai sempre più in pericolo la libertà delle Istituzioni e quella dei singoli cittadini.

E tutto questo marasma è dovuto semplicemente all’ignoranza dei più elementari principi di architettura costituzionale dei nostri politici!

In questa situazione si cerca rimedio ad un male strutturale con modifiche funzionali, del tutto insufficienti: si agisce, cioè, sulla legge elettorale.

Questo tentativo porta ad oscillare di volta in volta tra due poli opposti ed entrambe insoddisfacenti: da un lato, per garantire meglio la governabilità del Paese, si tende ad una legge più maggioritaria, che escluda i partiti minori e limiti la rappresentatività delle Camere; dall’altra, per i motivi opposti, si difende un sistema proporzionale, in cui i piccoli partiti condizionano, ricattandolo, il Governo del Paese.

Infatti il Governo, occupandosi di cose pratiche ed immediatamente esecutive, dovrebbe poter decidere in modo semplice, veloce ed efficace, e pertanto essere di natura assolutamente maggioritaria; a sua volta il Parlamento, il cui compito è l’emanazione delle leggi, cioè delle regole condivise, dovrebbe essere maggiormente rappresentativo, per emettere leggi su cui esista il massimo di comune sentire da parte dei cittadini, che non devono essere coartati al di là di quanto essi reputino essere giusto, neppure quando sono minoranza, secondo il principio sostenuto dal Beccaria:

ogni atto di autorità di uomo a uomo che non derivi dall’assoluta necessità è tirannico.

Il potere giudiziario, per finire, non deve poter portare in giudizio coloro che poi giudicherà, perché le due funzioni debbono essere assolutamente separate per garantire la serenità del giudizio. Parimenti non deve gestire le pene da esso irrogate, poiché in tale modo il suo potere diviene assoluto ed incontrollabile.

 

Ulteriori caratteristiche della corretta configurazione dei poteri

Montesquieu aggiunge, nel suo trattato, altre due considerazioni di grandissimo interesse. La prima, secondo la quale mai il potere legislativo deve emanare leggi di spesa; la seconda, per la quale altrettanto mai il potere esecutivo emanerà leggi di entrata.

L’equilibrio armonico dei poteri, e la maggior garanzia per il cittadino, si ha quanto il legislativo autorizza i massimali di entrate (e quindi di tributi e di spese possibili), mentre l’esecutivo decide il come spendere questi soldi, voce per voce.

Se il potere legislativo prende parte all’esecuzione, il potere esecutivo sarà ugualmente perduto.

Se il potere esecutivo statuisce sull’esazione del denaro pubblico altrimenti che attraverso il proprio consenso, non vi sarà più libertà, perché questo potere diverrà legislativo nel punto più importante della legislazione.

Lo spirito delle Leggi, Libro XI,  cap. VI.

 

Questi due principi hanno una spiegazione chiarissima:

il potere legislativo, cioè la Camera dei Rappresentanti, è per sua natura rappresentativo, cioè ogni singolo membro viene eletto da un piccolo gruppo di elettori (questo vale anche dove si vota con un sistema uninominale o maggioritario, perché allora l’elettorato è diviso non secondo le ideologie, ma secondo ragioni geografiche: comunque il deputato deve la sua elezione ad un gruppo ristretto di cittadini); pertanto ogni deputato tende ad accontentare al massimo questo piccolo gruppo, attraverso il frazionamento della spesa, e la distribuzione a pioggia di favori e prebende, al fine di conservarsi il potere che solo il suo elettorato gli può garantire.

Al contrario, se il deputato non gestisce leggi di spesa, ma di entrata, cioè l’imposizione delle tasse, è invece portato a limitare al massimo il carico dei tributi, sempre per ingraziarsi il suo elettorato, e quindi eserciterà un controllo attento di quanto il Governo chiede di poter spendere.

 

Il potere esecutivo, invece, è di sua natura maggioritario, cioè dipende dal consenso non di piccoli gruppi, ma della maggioranza dei cittadini: pertanto è più portato a non disperdere la spesa, ma a concentrarla su quei provvedimenti che garantiscono la maggior soddisfazione di tutti. Vede però limitato il suo potere di spesa dal controllo del legislativo, al quale deve, anno dopo anno, chiedere di stanziare le cifre reputate necessarie, motivandole.

Chi decide delle tasse non decide delle spese, chi decide delle spese non decide delle tasse

Questo è il sistema in vigore negli Stati Uniti, ed è esattamente il contrario di quanto si fa in Italia, dove il Parlamento, attraverso la (cosiddetta) Legge Finanziaria, che non è che una somma di atti esecutivi, disperde il denaro pubblico in mille rivoli, votando le leggi (o leggine) di spesa, mentre il governo si occupa di reperire i fondi necessari a coprire gli effetti disastrosi di questo malcostume, decidendo delle entrate.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: gravame fiscale altissimo e altrettanto alto deficit dello Stato, perché chi spende senza responsabilità, non si accontenta mai dei livelli raggiunti, e continua, anno dopo anno, nello sperpero del denaro pubblico, in proprio favore, dei propri manutengoli ed, alla fine, dei propri elettori, per quel che resta.

Vale per loro quanto dice Platone nella Repubblica:

…dopo che i capi, sottraendo il patrimonio a chi possiede, e facendo distribuzioni al popolo, si trattengono la maggior parte per sé.

 

Occorre comunque precisare che la Costituzione italiana si preoccupava di limitare il Parlamento nella sua facoltà di emanare leggi di spesa. In particolare, l’articolo 81 prevede:

Art. 81 – Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo…

Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

 

In parole povere, il bilancio presentato dal Governo avrebbe dovuto essere approvato o respinto, ma non modificato. E’ stato con un vero e proprio attentato alla Costituzione, permesso da chi doveva sorvegliare e tuttora tollerato, che si è istituita la cosiddetta Legge Finanziaria, con la quale il Parlamento legifera su argomenti di spesa puntuale e minima.

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