la Società: la Chiesa

Naturale unicità della chiesa

La Chiesa (intesa come organizzazione dedicata al rapporto con il divino ed alla celebrazione delle cerimonie religiose) è l’ultima delle organizzazioni naturali che abbiamo considerato, che si forma e si struttura contemporaneamente al formarsi dello Stato.

Vediamo infatti che tutte le società possiedono organizzazioni religiose e che, originariamente, ogni società aveva una ed una sola Chiesa, che svolgeva le sue funzioni a nome di tutti.

Il sacerdote era il rappresentante della comunità presso la divinità, e doveva impetrarne i favori ed allontanarne le ire con le preghiere e con le cerimonie; la sua figura doveva essere carica di dignità, così come un ambasciatore, che rappresenta il suo Stato, deve presentarsi in forme dignitose alle le autorità presso cui è demandato.

Le cerimonie dovevano essere tali da ben rappresentare il prestigio del popolo e la grandezza  dello Stato presso il dio: la funzione del sacerdote era perciò non solo un onore, ma un mandato carico di responsabilità.

Con il contatto tra popoli che avevano dei e sacerdoti differenti, e, soprattutto con lo svilupparsi di scuole di pensiero all’interno della stessa società, parve che una sola chiesa per tutti fosse un abito troppo stretto, e si svilupparono all’interno delle varie società religioni e chiese diverse, fino a giungere ai giorni nostri, nei quali si rinunciò del tutto all’idea di una chiesa ufficiale dello Stato.

 

Oggi questa idea sembra del tutto naturale, sebbene non lo sembrasse cento anni fa, e non lo sia mai sembrata nel corso della storia dei popoli: anche società estremamente tolleranti e liberali dal punto di vista religioso, come quella romana imperiale, avevano una religione ufficiale e pretendevano il rispetto per i loro culti. Le persecuzioni dei cristiani erano dovute non alla differente religione, quanto al rifiuto di onorare e sacrificare agli dei ufficiali ed all’imperatore.

Il fatto che esistesse in ogni Stato una ed una sola religione ufficiale è così pacificamente accettato nell’antichità, che la Bibbia stessa, dove sempre Javhe è mostrato come Dio geloso e contrario ad ogni altra forma di adorazione, accetta, almeno una volta, che, per rispetto alle convenzioni, un generale convertitosi al vero Dio possa continuare a celebrare i riti ufficiali.

Naaman, comandante in capo dell’esercito del re di Aram, viene guarito da Ezechiele dalla lebbra; per gratitudine e per convinzione egli promette allora di non sacrificare più ad altri che al Dio di Ezechiele, ma chiede una sola grazia:

Allora disse Naaman: “Come tu vuoi, ma permetti che sia dato al tuo servo [cioè Naaman stesso, ndr] terra corrispondente al carico di due muli, poiché il tuo servo non offrirà più olocausti e vittime a divinità straniere, ma solo al Signore.

Il Signore però voglia perdonare al tuo servo questo: quando il mio padrone entrerà nel tempio di Remmon per adorare, e si appoggerà al mio braccio, anch’io dovrò inchinarmi nel tempio di Remmon. Ebbene, ogni qualvolta egli farà adorazione nel tempio di Remmon, il Signore voglia perdonare ciò al tuo servo”.

Gli rispose Eliseo: “Va’ in pace”.

Libro IV dei Re, V, 17-18.

 

Il fatto che uno Stato avesse una religione ufficiale, secondo i riti della quale rendere onore alla divinità, è sembrato del tutto naturale fino ai giorni nostri: ancora oggi il Re di Inghilterra è capo della Chiesa Anglicana, e fino a pochi anni fa la Costituzione italiana attribuiva alla religione Cattolica la funzione di Religione ufficiale dello Stato.

Ormai da molti secoli questo non rendeva obbligatorio ai cittadini l’appartenenza alla religione ufficiale; ognuno era libero di credere in quello che voleva, ma lo Stato onorava in tale forma l’Essere supremo, che rimaneva fondamento dei principi eterni su cui si fonda lo Stato stesso.

 

 Perché libertà di Religione, e non di Stato?

Oggi si ritiene assolutamente naturale che non esista Religione ufficiale, che in fatto di religione ognuno si comporti così come crede, e che lo Stato non possa in nessuna forma privilegiare un credo rispetto ad un altro. Questa opinione sarebbe però più convincente e coerente se venisse, logicamente, estesa allo Stato stesso: perché mai ogni cittadino è costretto ad accettare un unico e ben preciso Stato? Perché non siamo liberi, sulla stessa terra, di costituirci in organizzazioni statali differenti, secondo le nostre opinioni politiche ed i nostri credo ideologici?

O addirittura di non avere Stato, così come siamo liberi di non avere Dio?

Chi ha attribuito allo Stato l’autorità di imporsi a tutti gli uomini all’interno di determinati confini, se non la forza bruta esercitata dallo Stato stesso?

Perché i cittadini che hanno convinzioni di assoluta minoranza, mai potranno vivere in uno Stato coerente con le loro opinioni?  Perché devono sottostare alla volontà della maggioranza?

Se ci riflettiamo bene, ci accorgiamo che non vi sarebbero impedimenti sostanziali ad una organizzazione pluralistica di Stati all’interno dello stesso territorio, se non per le strutture stesse che lo Stato unico si è dato.

Ognuno sarebbe libero di aderire o meno alla organizzazione statale di suo gradimento, così come aderisce o meno alla chiesa che preferisce.

I vari Stati si rapporterebbero tra di loro con accordi, alleanze, contratti, così come le società private: ed i cittadini potrebbero scegliere quello che offrisse migliori garanzie e servizi.

Ho sollevato questo problema, che prefigura una società assolutamente libertaria, che forse potrà esistere in futuro, o forse mai, per dimostrare che certi ragionamenti e certi principi potrebbero portare più lontano di quel che si creda.

Oggi i laici sono normalmente statalisti, pertanto i loro strali vanno unicamente contro la Religione. Ma così facendo non si accorgono di attuare semplicemente un’altra forma di prevaricazione ideologica, dove privilegiano una delle organizzazioni naturali nel confronto di un’altra: dello Stato contro la Chiesa.

Un unico Stato insieme ad una unica Chiesa rappresentano la struttura sociale evidentemente più naturale, quella più efficiente e più adatta a resistere alle aggressioni interne ed esterne.

Così si sono sviluppate le società nelle migliaia di anni che ci hanno preceduto.

 

 Perché una Religione di Stato?

L’opportunità che lo Stato riconosca una sua Religione ufficiale, non sta nell’interesse di questa o di quella chiesa, ma dello Stato stesso e della comunità di cittadini.

 

  • La definizione dei principi etici

Abbiamo visto come, senza basi metafisiche, non è possibile costruire un’Etica credibile.

Ma lo Stato deve necessariamente accettare un’Etica, per darsi una figura giuridica, ed attribuire ai principi etici caratteri di intangibilità, per lo meno da parte delle funzioni statali, nello stesso modo in cui deve accettare ufficialmente una Scienza per darsi principi pratici di comportamento nella realizzazione delle sue funzioni, dal curare i malati al costruire i ponti.

Originariamente, nel momento dell’organizzarsi dello Stato nelle proprie strutture funzionali, il compito della definizione dei principi etici, assieme a quello dello studio ed individuazione delle conoscenze scientifiche in un primo tempo considerate tutt’uno con le scienze divine ed etiche, in quanto altrettanto avvolte dal manto della nebulosità nella normale vita quotidiana, era affidato alla organizzazione sacerdotale (che qui chiamiamo genericamente Chiesa).

Specializzandosi le conoscenze, man mano che la loro natura andava chiarendosi, queste, che fossero teoriche o pratiche, venivano affidate a strutture loro proprie: matematici, geometri, scienziati, organizzati in Scuole ed Università. Etica e Religione restavano affidati alla Chiesa.

Con lo svilupparsi delle idee liberali, che non hanno origine così recente quanto crediamo, una sempre maggiore libertà veniva concessa alla fase elaborativa delle varie conoscenze, ma sempre alla fine lo Stato doveva far propria questa o quella conclusione nel suo normale operare.

Tutti sono liberi di pensare che la terra sia piatta, o che le formule attualmente in uso per calcolare le quantità di ferro nel cemento armato siano errate, ma se volete superare un esame statale, o non venir licenziati in tronco per giusta causa da qualsiasi ditta edile, siete costretti a far vostre le opinioni ufficialmente accettate, senza alcuna considerazione per la vostra libertà di pensiero.

 

Altrettanto si pensava per i temi etici e, in misura minore, in quanto le implicazioni pratiche erano minori, per quelli religiosi.

Oggi si vorrebbe invece pensare che su questi argomenti debba valere la più assoluta libertà, che si traduca anche nei comportamenti pratici. Quando risulti poi evidente che questo è impossibile (non appena qualcuno cominci a pensare che omicidio o furto non siano poi così condannabili quando risultino di sua utilità), ecco allora la tesi, talora controversa, che su temi etici e morali decide la maggioranza di volta in volta costituitasi.

Ma anche questa tesi non risulta soddisfacente, non appena la maggioranza reputi opportuno mettere a morte o depredare i beni delle varie minoranze da lei avversate.

Non dirmi quello che mi hai ripetuto tante volte: che chiunque vorrà mi potrà uccidere, affinché anch’io non debba tornare a risponderti che sarà pur sempre un malvagio che ucciderà un buono. E neppure devi dirmi che mi spoglierà dei miei beni, posto che io ne possegga, affinché io di nuovo non ti risponda che, se mi prenderà i beni, non se ne saprà giovare, e che, come ingiustamente mi ha spogliato di essi, così ingiustamente li userà, e se ingiustamente, anche in modo brutto, e se brutto, anche cattivo.

Platone, Gorgia, 521 B-C.

 

Da dove nasce questa difficoltà del pensiero moderno a fissare un’etica condivisa, che sia guida al vivere comune tra i cittadini?

Questo ha origine nelle deviazioni del pensiero laico materialista degli ultimi due secoli, che è andato prevalendo sulla scuola di pensiero tradizionale greco-cristiana che aveva sempre caratterizzato gli Stati occidentali.

La grossa differenza tra i due filoni di pensiero sta in questo:

  • per il pensiero occidentale tradizionale, da Platone in poi, il Bene ed il Giusto sono entità reali, oggettive ed universali, che trovano il loro fondamento logico in una certezza di origine metafisica;
  • per il pensiero laico materialista tutte le realtà non materiali hanno origine nelle condizioni elettro chimiche del cervello umano, non possono avere alcuna realtà oggettiva, in quanto originate singolarmente ed accidentalmente in singoli cervelli: di tali condizioni soggettive fanno parte Valori, Credi, Fedi religiose, ed ahimé, anche i concetti tradizionali di Bene e di Male.

 

  • Sophia e Doxa nella definizione dell’Etica

Questo fece sì che nella tradizione occidentale cristiana, la ricerca dei principi etici e religiosi fosse ricerca di qualche cosa di reale ed oggettivo, e pertanto catalogata nella categoria della Sophia, o dell’Episteme, cioè della scienza, ed affidata, come tale, a strutture apposite incaricate del suo studio (preti o filosofi che fossero).

Questo è dunque ciò che a me appare: nel campo conoscibile come suprema l’idea del Bene, che a fatica si vede, ma che una volta vista va considerata essa come causa a tutti di tutte le cose rette e belle, generatrice nel visibile della luce e del suo signore, e nell’intelligibile essa stessa legittima elargitrice di verità e di ragione; e che questa deve vedere chi debba saggiamente diportarsi in pubblico e in privato.

Platone, Repubblica, VII 517 C.

 

Nella nuova scuola di pensiero, oserei dire di non-pensiero, laicista contemporaneo, i principi etico religiosi appartengono alla categoria della Doxa, cioè dell’opinione, e quindi decisi di volta in volta o individualmente, o attraverso il principio maggioritario, cui si affidano le cose opinabili, che necessariamente coinvolgano tutti.

Basterà dunque chiamare la prima parte scienza, la seconda raziocinio, la terza credenza e la quarta immaginazione; ed entrambe queste ultime opinione, ed entrambe le prime conoscenza, e che l’opinione verta sul divenire e la conoscenza sull’essere.

Platone, Repubblica, VII 533 E – 534 A.

 

Matematica, geometria, astronomia, medicina, non vengono affidate al giudizio della maggioranza, in quanto i loro contenuti vengono reputati veri, non opinabili, e quindi incaricati del loro studio sono matematici, geometri, astronomi e medici. Lo Stato deve poi, comunque, accettare una verità scientifica ufficiale, necessaria all’agire pratico: dalla scuola, agli esami, ai giudizi processuali sarà la verità ufficialmente riconosciuta a prevalere, quantunque si voglia concedere la massima libertà di pensiero ai cittadini.

Solamente colui che si è preparato a considerare con la mente nella maniera più precisa ciascuna cosa di cui fa ricerca, solamente costui può giungere il più vicino possibile alla conoscenza di ciascuna delle cose

Platone, Fedone, 65 E.

 

Alla stessa stregua, anche i principi etici, in quanto ritenuti veri, non possono essere lasciati al giudizio mutevole della maggioranza, ma studiati e definiti da esperti a questo preposti: questi esperti, nelle varie società e nelle varie civiltà, vengono ovunque identificati con i sacerdoti.

Da questo arguiamo che la struttura sacerdotale sia proprio la struttura incaricata dalla società a questi studi, così come giudici e avvocati sono gli incaricati dello studio del diritto e delle leggi.

Poiché la soluzione proposta dal pensiero laico non solo è insostenibile teoricamente, ma lo è ancor più nella pratica quotidiana, con la dissoluzione di ogni principio etico condiviso, torna interessante rivolgere il pensiero a quella che è stata la soluzione comunemente accettata in tutto l’Occidente fino a pochi decenni fa.

E cioè che lo Stato non può fare a meno di principi etici e religiosi definiti esternamente allo Stato stesso, da strutture sociali a questo preposte.

Quando si tratti delle cose giuste e delle ingiuste, delle brutte e delle belle, delle buone e delle cattive, intorno alle quali dobbiamo ora decidere, forse dovremo dar retta all’opinione della gente e averne timore, o dovremo, invece, dar retta al parere di quell’unico, se mai ci sia, che se ne intende, del quale solo bisogna avere rispetto e timore più che di tutti gli altri messi insieme?

Platone, Critone, 47 C-D.

 

L’idea del Bene è la conoscenza massima, servendosi della quale le cose giuste e le altre diventano utili e giovevoli. Noi, però, non conosciamo tale Idea a sufficienza. E se noi non la conosciamo, posto anche che conoscessimo, al più alto grado possibile, tutte le altre cose, ma non essa, tu sai che per noi da questo non deriverebbe alcun vantaggio e così anche se possedessimo qualsiasi cosa senza il Bene.

Platone, Repubblica, VI 501 A-B.

 

Teniamo inoltre conto che sia nel pensiero greco, sia in quello cristiano, il bene del cittadino non consisteva solamente nel poter fare ciò che si vuole, ma nel divenire migliore. Compito dello Stato e dell’Etica era di rendere i cittadini più buoni. Da qui il coinvolgimento nell’Etica anche della Morale. Questo oggi viene negato, ma con quale fondamento? Si ottiene forse la felicità dell’individuo in una società corrotta e malata addirittura fisicamente, oltre che moralmente?

 

  • Il rapporto con il divino

L’esistenza di Dio, oltre che un’opinione accettata, per ora ancora, dalla maggioranza, resta l’unico fondamento sicuro dei principi etici, in assenza di una teorizzazione laica meno miseranda di quella attuale. Lo Stato ha pertanto necessità, se non altro per la sua stessa esistenza, di stabilire un rapporto anche ufficiale con il divino. Pertanto, l’esistenza di una forma di Religione o religiosità ufficiale si presenta ancora come estremamente utile all’esistenza stessa dello Stato.

Questo, naturalmente, deve avvenire nel pieno rispetto della libertà di opinione individuale; ma, come avviene per le leggi, che ogni cittadino ha il diritto di considerare sbagliate, ma devono essere comunque osservate, così una Religione ufficiale non deve essere creduta metafisicamente vera, ma deve essere rispettata come fonte di eticità, cioè dei principi fondamentali che permettono la convivenza (tra cui la stessa Libertà, il diritto alla quale, altrimenti, risulterebbe una semplice opinione fra le tante), e come la forma nelle quali lo Stato, nelle cerimonie ufficiali, onora la divinità e le realtà superiori dello Spirito.

Dovrebbe essere abbastanza evidente, se non si è prigionieri di un cieco odio di parte, che una struttura siffatta è opportuno derivi da forme tradizionali e maggioritarie, selezionate dalla storia e dalla cultura di un popolo piuttosto che da improvvisazioni più o meno goliardiche di personaggi pittoreschi che si inventano principi mai sentiti fino a poco prima, e che li sostengono con diete o marce utili bensì alla salute, ma poco al ragionamento.

 

 

 Concludendo

In questo breve capitolo ho voluto sostenere una tesi oggi non certo facile da condividere: come per necessità solamente pratiche siamo tenuti ad accettare l’unicità dello Stato, così per necessità parimenti pratiche dovremmo accettare l’unicità della Chiesa ufficiale (quale che essa sia), come fonte dell’eticità e mediatrice tra comunità e divino, rimanendo intatta la libertà di opinione ed espressione di ciascuno, al fine di modificare Stato, leggi o Chiesa all’interno della società, in una visione liberale che limiti al massimo l’ingerenza di Stato e Chiesa nella sfera del privato e dei poteri di queste entità nel rapporto con i singoli. Citerò ancora una volta Hegel a conforto di una simile tesi:

…lo Stato si fonda sulla predisposizione etica, e quest’ultima sulla predisposizione religiosa…Poichè la Religione è la coscienza della Verità assoluta, ciò che deve valere come diritto e giustizia, dovere e legge, può avere validità solo nella misura in cui partecipa di quella Verità… L’Eticità è lo Spirito divino in quanto immanente all’autocoscienza… Non ci sono due tipi di coscienza morale, una religiosa ed una etica diversa da quella per tenore e contenuto.

               HegelEnciclopedia delle scienze filosofiche, § 552.

(indietro)                                                                                                                                        (segue)