10. E Samuele rapportò tutte le parole del Signore al popolo, che gli chiedeva un re.
11. E disse: Questa sarà la ragione del re che regnerà sopra di voi: Egli piglierà i vostri figliuoli, e li metterà sopra i suoi carri, e fra i suoi cavalieri, ed essi correranno davanti al suo carro.
12. Li prenderà eziandio per costituirseli capitani di migliaia, e capitani di cinquantine; e per arare i suoi campi, e per far la sua ricolta, e per fabbricare le sue arme, e per gli arnesi dei suoi carri.
13. Egli prenderà eziandio le vostre figliuole per profumiere, e cuoche, e panattiere.
14. Piglierà ancora i vostri campi, e le vostre vigne, e i vostri migliori uliveti, e li donerà ai suoi servitori.
15. Egli torrà eziandio le decime delle vostre semente, e delle vostre vigne, e le donerà a’ suoi ufficiali e a’ suoi servitori.
16. Piglierà eziandio i vostri servi, e le vostre serve, e il fior de’ vostri giovani, e i vostri asini, e gli adopererà al suo lavoro.
17. Egli prenderà la decima delle vostre gregge; e voi gli sarete servi.
18. E in quel giorno voi griderete per cagione del vostro re che vi avrete eletto; ma il Signore allora non vi esaudirà.
1 Samuele, VIII, 10-18 (trad. Diodati).
Le società naturali
La prima società naturale è la famiglia, formata da un uomo, da una donna e dai loro figli; il capofamiglia è normalmente l’uomo, in quanto più forte fisicamente.
L’insieme di più famiglie, formate da fratelli e cugini, nonni e nipoti, dà origine al clan, con a capo il patriarca.
Allargandosi questo ed attenuandosi i legami di parentela, a tal punto da permettere matrimoni interni alla stessa comunità, nasce la tribù, che ha il suo capo nel capotribù, eletto dai capiclan.
All’interno della tribù ogni membro concorre alla pari alle funzioni comuni: la caccia, la difesa, le opere di interesse generale di costruzione, bonifica, dissodamento ecc.
All’interno della tribù si distinguono due sole figure: il capotribù e lo stregone. Esse si occupano dei due bisogni principali che l’uomo, ancora primitivo, comincia a sentire: la difesa di ciò che è giusto ed il rapporto con il divino. Allo stregone è affidata anche la funzione medica, che si presta ad essere confusa facilmente con una funzione collegata con forze spirituali, magiche o divine.
Origine dello Stato
Lo Stato è una organizzazione naturale, che segue, nella sua formazione, la famiglia, il clan e le prime forme sociali. Dico naturale, perché vediamo che esso si è formato ovunque nel mondo, presso qualsiasi civiltà, non appena questa esce dallo stato tribale: reputo pertanto che la formazione dello Stato sia ragionevole conseguenza di quella che chiamiamo legge naturale, cioè di quell’insieme di comportamenti attuati in modo spontaneo dalla maggioranza degli individui di una specie, tesi alla miglior conservazione e riproduzione della stessa.
Per un credente, questa può essere vista, anche se mediata dall’intervento della ragione, come la volontà stessa di Dio, e ciò giustifica anche la convinzione che sia moralmente giusto obbedire all’autorità statale.
Lo Stato si forma non appena l’organizzazione tribale, dove non esistono strutture sociali durevoli al servizio della comunità, si rende conto che vi sono dei bisogni comuni che necessitano, per l’appunto, di persone stabilmente incaricate e preposte alla loro risoluzione.
- Il primo di questi bisogni è, normalmente, la difesa da aggressioni esterne; in modo duale, l’organizzazione di forze di attacco per colpire e depredare le popolazioni vicine.
- Segue la difesa dalle prepotenze ed angherie interne, da parte degli individui più forti e prepotenti.
- Infine, la realizzazione di opere pubbliche di grande impegno.
Prima o contemporaneamente a questi tre bisogni, si è sviluppato nell’uomo il senso del divino, dello spirituale, della conoscenza contemplativa e teorica: anche questo bisogno viene affidato allo Stato che allora si forma.
Il primo Stato che conosciamo nasce in Egitto, quando ci si rende conto che le opere di contenimento delle acque del Nilo necessitano di lavori e cure continuative e coordinate.
- Strutture dello Stato
Allo scopo di soddisfare i bisogni collettivi sopra definiti, la società tribale dedica parte dei suoi membri alla cura continua e specifica di precisi compiti, facendo nascere organizzazioni che da allora accompagneranno sempre l’esistenza degli stati:
- una classe sacerdotale, che originariamente si occupa non solo del divino, ma anche della conoscenza teorica in genere: medicina, astronomia, matematica, geometria, ecc.;
- un esercito, con un comandante in capo, per la difesa e l’aggressione contro popolazioni esterne;
- un corpo di polizia, dedicato alla difesa interna, al mantenimento dell’ordine ed alla esecuzione coatta delle decisioni dello Stato;
- un corpo di funzionari, con vari incarichi e specializzazioni.
All’interno di queste strutture appare una figura speciale, la cui funzione può essere affidata a questo od a quell’organo statale, che è quella del giudice: tipicamente questo incarico va alla più forte delle organizzazioni citate. Solamente nelle società più avanzate ed in epoca moderna si converrà sulla necessità di una funzione autonoma ed indipendente.
Queste strutture, originariamente confuse ed indistinte, vanno man mano specificandosi e differenziandosi.
- Funzioni dello Stato
I compiti affidati alle organizzazioni comuni danno origine alle funzioni precipue dello Stato:
- la difesa dalle aggressioni esterne fa nascere la Politica estera
- la difesa interna dà origine alla amministrazione della Giustizia ed alle Leggi
- la classe sacerdotale, oltre alla Religione, dà origine alla Pubblica Istruzione
- i vari funzionari fanno nascere l’Economia e tutte le attività connesse.
Degenerazione autoritaria
Inizialmente le comunità si governano con Consigli, formati dai capiclan o dai capifamiglia. Ma la forza e l’autorità insite nelle funzioni statali, porta ben presto all’accentramento del potere nelle mani di una sola persona, generalmente il capo dell’esercito, che assume il controllo anche di tutte le altre funzioni, compresa quella religiosa e sacerdotale.
Da allora il potere statale andrà sempre più rafforzandosi ed identificandosi con le persone preposte alle varie funzioni, che presto danno origine a dinastie e classi dominanti.
La forza a loro disposizione servirà a mettere a tacere ogni obiezione ed opposizione interna, fino a dare allo Stato l’immagine e l’autorità del dio, ed a sottomettere ogni individuo alla sua suprema volontà.
- Differenziazione del potere religioso
A questa azione di accentramento del potere, una sola organizzazione riesce tradizionalmente a sottrarsi, ed è quella religiosa. Il capo dello Stato (Re) tenta, inizialmente, di appropriarsi anche della carica di Sommo Sacerdote, ma difficilmente questo gli riesce: infatti la funzione sacerdotale contempla anche quella culturale, e la cultura e la conoscenza non si acquisiscono con la forza e la brutalità. Per questo, e per il prestigio e l’autorità sul popolo esercitata dai sacerdoti, la funzione religiosa è tipicamente la sola che sfugge all’accentramento dei poteri nello Stato, e fornisce un elemento naturale di tutela e conservazione delle libertà civili.
Questa funzione fu, ad esempio, svolta nell’alto medioevo dal vescovo cattolico in contrapposizione ai poteri, in alcuni casi semplicemente selvaggi, delle popolazioni germaniche che avevano occupato l’impero romano, fino alla conversione di questi popoli ed alla lenta restaurazione dell’antica cultura, processo sfociato e compiutosi nel Rinascimento.
Ma, in realtà, questa funzione del potere sacerdotale, limitatrice dei poteri assoluti sviluppati dallo Stato contro l’individuo, la troviamo presso tutte le civiltà, ed in particolare negli stati totalitari ed in quelli accentratori e laicisti dei nostri giorni.
Per evitare petulanti smentite, ricordiamo che presso gli Atzechi, che praticavano il sacrificio umano, potere religioso e politico coincidevano: Montezuma era Re e Sommo Sacerdote ad un tempo. La breve distanza che separa queste due parentesi, impedisce poi una esauriente trattazione di temi quali la caccia alle streghe e l’Inquisizione, nella citazione dei quali sempre troveremo intento lo sdegnato laicame. Basti puntualizzare che questi due fenomeni sono stati più espressione di società feroci che di feroci uomini di Chiesa, e che gli stati laici ed illuministi dell’800 e ‘900 hanno fatto migliaia di volte peggio, anno dopo anno, ogni singolo anno, di quanto sia possibile enumerare nell’intera storia della Chiesa Cattolica.
Questo perché l’elemento religioso all’interno di una società è, per sua tendenza e formazione, quello più attento alle ragioni interiori dell’uomo ed alla sua dignità divina.
All’inizio del capitolo, il brano del libro di Samuele illustra bene il passaggio da una società ancora molteplice e relativamente libera, a quella accentratrice ed autoritaria governata da un Re.
- Lo Stato autoritario moderno e contemporaneo
Lo Stato antico diviene normalmente autoritario per difendere i privilegi delle classi e delle dinastie dominanti. A questa motivazione principale si aggiungeva tradizionalmente quella religiosa, talora semplicemente come pretesto: l’essere la religione una delle funzioni statali, portava lo Stato a non tollerare differenze interne nei culti e nelle manifestazioni religiose, che potevano tradursi in un indebolimento della coesione statale interna.
Quello moderno conserva la prima caratteristica, dove classi e dinastie sono sostituite da apparati politici e burocratici, e sostituisce a quella religiosa la motivazione ideologica: una parte della società vuole imporre con la forza la propria visione del mondo o i propri desideri messianici alla restante parte, che non li condivide.
La componente ideologica ha caratterizzato le più perverse dittature della storia, quelle del XX secolo, ma continua subdolamente a mettere a repentaglio la libertà della Persona negli sviluppi laicisti ed ateistici degli Stati contemporanei, che hanno perso le motivazioni di supporto a diritti individuali garantiti da realtà metafisiche, sostituendole con la pretesa di realizzare il “bene di tutti”, dove questo bene non è lasciato alla scelta dei singoli, bensì deciso dalle classi politiche e dalle componenti ideologizzate della società (normalmente le più ignoranti e manipolabili).
Alla fine ne risulta sempre solamente un maggior privilegio per politici e burocrati, cioè per coloro che detengono e gestiscono il maggior potere acquisito.
Avviene altresì che tali garanti del “bene di tutti” tendono a criticare ed ad escludere la Chiesa dalla discussione politica (quando la sua posizione non coincide con la loro), accampando una sua pretesa emanazione autoritaria: in realtà, la Chiesa non detiene alcun potere di coercizione sugli individui, potere che invece detengono costoro, che ti possono coartare con polizia, guardia di finanza, magistrati e funzionari vari, addetti alla prepotenza sui riottosi.
- Costrizione religiosa e costrizione ideologica
Vorrei sottolineare la differenza di fondo tra costrizione religiosa, nella sua forma tradizionale, e costrizione ideologica, così come si sviluppa nel mondo moderno.
La prima, soprattutto nella tradizione cristiana (meno in quella islamica), contempla unicamente gli aspetti religioso-dogmatici, lasciando l’individuo libero per il restante delle sue attività: ma la costrizione ideologica tende ad essere totalitaria, ad investire tutti gli aspetti della vita dell’uomo, sia quelli ideologico-culturali, sia quelli pratico-economici. Queste forme di costrizione si sviluppano non solo negli Stati totalitari, ma anche nelle moderne democrazie laiche: non pago di impadronirsi di oltre la metà del frutto del tuo lavoro, costringendoti così a lavorare ben più di quel che ti serve, lo Stato ti impone anche i suoi modelli di rapporto sociale (con le leggi che disciplinano il lavoro dipendente ed autonomo, e con il sistema delle concessioni e licenze) insieme ai suoi modelli culturali di massa (con la scuola statale, la televisione statale, il finanziamento pubblico delle fonti di informazione partitiche); ogni restante aspetto della vita individuale si vede piegato ad innumerevoli norme e regolamenti che invadono la sfera privata, sino a che il corso stesso della tua vita viene condizionato da strutture pensionistiche obbligatorie e conformi a schemi ideologici di parte, estesi coartamente a tutti. In questo suo fare, lo Stato si atteggia sempre a tuo padrone, signore e custode, intollerante di ogni trasgressione o contestazione, concedendosi parzialità assolutamente vessatorie nei confronti del privato cittadino: le tue mancanze sono sempre punite, le sue, a sua discrezione, nei tempi e nei modi da lui insindacabilmente decisi.
Questo agire, da parte dello Stato, trova giustificazione nel cosiddetto principio democratico, cioè nel preteso consenso della maggioranza. Ma, se ci pensate bene, voi venite interpellati su per giù ogni quattro o cinque anni e – fatta salva ogni specie di brogli elettorali, inciuci partitici e manfrine di politicanti – il vostro parere vale uno su decine di milioni, cioè niente.
Poi, per tutto il restante tempo, la vostra vita, la vostra unica vita, viene coartata da classi politico- burocratiche di privilegiati, che decidono di voi senza mai darvi voce, obbligandovi ad arbitraria obbedienza con la minaccia di multe o prigione, per qualsiasi aspetto della vostra esistenza.
Visione liberale dello Stato
La visione liberale dello Stato giunge a noi da due vie, concorrenti: quella tradizionale, di origine cristiana, che vede nella Persona il centro dei valori, e quella laico-giusnaturalista, che muove considerando l’origine storica dello Stato.
La visione cristiana muove dalla convinzione che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio, libero e ragionevole, dotato di diritti inalienabili.
In questa visione, la scala dei valori è, in ordine discendente, questa: Dio, l’uomo, la famiglia, la società civile, lo Stato. Esattamente contraria, cioè, a quella dei poteri esercitati, almeno su questa terra. Pertanto lo Stato è solamente una organizzazione al servizio di società, famiglia e cittadino, così come la società serve alla famiglia e la famiglia all’uomo.
In questa ottica, servire la famiglia significa fare il bene dei membri della famiglia, così come servire lo Stato significa fare il bene dei singoli cittadini, e non quello di una collettività astratta che nulla sente e nulla gode: chi sente e chi gode è solo il singolo, e non lo Stato, la società, la classe o la razza.
Nella visione giusnaturalista, concorrente con quella cristiana, avendo lo Stato origine dai bisogni dell’uomo, a questi deve essere asservito. Inoltre – ed è questo un punto fondamentale – lo Stato riceve i suoi poteri dai cittadini, che rinunciano a parte dei loro diritti (ad esempio l’autodifesa) a vantaggio dell’organizzazione collettiva.
Da ciò conseguono due principi basilari dello Stato liberale:
- i diritti dello Stato sui cittadini non possono essere di natura diversa da quelli dei cittadini stessi tra di loro: il cittadino, infatti, non può cedere allo Stato un potere che non ha, e pertanto lo Stato non può pretendere dal singolo cittadino quello che i suoi simili non hanno diritto di chiedergli;
- lo Stato riceve i suoi poteri da ogni singolo cittadino: perciò nessun cittadino può, singolarmente, venir conculcato dallo Stato in modo che il suo interesse a partecipare alla comunità statale venga meno: in parole povere, nessuno di noi deve trovarsi, senza sua colpa, in condizione tale da poter preferire che lo Stato non ci fosse.
Lo Stato ideologizzato, al contrario, tende alla soppressione di questi due principi: si erge, nei rapporti con il cittadino, con l’autorità assoluta della divinità, e bistratta e coerce i malcapitati che si trovano sulla strada dei suoi disegni di sviluppo più o meno sociale.
Compiti e limiti dello Stato
- I compiti
Lo Stato è quindi una struttura burocratica avente il compito di organizzare e gestire quei servizi che il cittadino, da solo, non riuscirebbe ad ottenere, o otterrebbe meno efficacemente.
Poiché questi servizi sono essenzialmente:
- la difesa dei propri diritti dalle aggressioni e prepotenze altrui
- la realizzazione delle opere di interesse comune
- la realizzazione di strutture economiche generali
- la realizzazione spirituale e culturale dell’individuo
i compiti essenziali dello Stato sono la realizzazione e la gestione di:
- un esercito per la difesa esterna
- un corpo diplomatico per i rapporti con gli Stati esteri
- un corpo di polizia per la difesa interna
- un insieme di leggi che definiscano i diritti ed i doveri dei cittadini
- una magistratura civile che giudichi nelle controversie tra cittadini
- una magistratura penale che definisca le pene per i cittadini che violino i diritti altrui
- una struttura di gestione generale dell’economia che batta moneta
- una struttura per la raccolta dei tributi indispensabili alla vita stessa dello Stato.
A questi compiti fondamentali, propri ed esclusivi dello Stato, si aggiungono una serie di servizi al cittadino, che lo Stato organizza per quanto necessario a garantirne l’accesso a tutti, ed in quanto non disponibili altrimenti.
- la scuola e gli istituti per la diffusione della cultura
- l’organizzazione sanitaria
- mezzi di comunicazione di massa
- apparati tecnico- burocratici per la realizzazione di opere strutturali
- organizzazioni previdenziali
- I limiti
Quello che ci interessa sottolineare, in polemica con lo smisurato allargarsi dei poteri che gli Stati si sono assunti nel corso dei secoli, ed in particolare con l’apparire delle ideologie stataliste del ‘900, è che la natura di servizio dello Stato impone di limitare al massimo i compiti che questo pretenda di svolgere in modo monopolistico, ovvero gli interventi propri di strutture e funzioni che, contemplando l’uso della forza costrittiva (esercito e polizia, leggi e magistratura), non potrebbero, senza gravi pericoli, esistere concorrenzialmente all’interno di una società; oppure quelli che per loro natura non troverebbero una diversa modalità di ruolo, come il battere moneta, almeno fino a quando non si trovino altri modelli sociali ed economici.
Per tutto il resto, l’intervento statale dovrebbe essere minimamente consentito, e ridotto a quei soli casi in cui l’iniziativa del privato non appare sufficiente alla fornitura del servizio.
I principi che dovrebbero regolare l’attività statale nei confronti del cittadino andrebbero perciò in tal senso configurati:
- nessuno può venir obbligato a fare, o impedito di fare alcunché, se non per difendere un pari o superiore diritto di un altro cittadino (o proprio), leso in modo diretto ed immediato dall’azione o dalla non azione interessata (dico diretto ed immediato, perché altrimenti la disonestà e la falsità ideologica proprie dei poteri statali in genere, farebbero rientrare ogni azione in questa casistica). Questo principio fa salve le azioni indispensabili per l’esistenza stessa dello Stato e dei cittadini (imposizione di tributi per lo svolgimento dei compiti propri dello Stato; difesa comune; ecc.) e per la salvaguardia della libertà e dei diritti fondamentali (non disponibili e irrinunciabili) dell’individuo stesso, come la proibizione di vendersi schiavo, di drogarsi (in quanto atto che ci priva della libertà stessa) e di uccidersi.
Questo limite ai poteri statali serve ad impedire l’ingerenza ideologica da parte dello Stato, che proibisce od impone nel solo interesse di visioni ordinatrici e messianiche, frutto di elucubrazioni oniriche di parte; ovvero nello stabilire leggi e regolamenti nel solo vantaggio dell’organizzazione statale, che, invece, nei rapporti con il cittadino, deve uniformarsi al normale diritto civile.
- abolizione di ogni potere discrezionale degli apparati dello Stato nei confronti del cittadino: diritti e doveri devono essere stabiliti preventivamente solo dalle leggi o da atti generali definiti anteriormente alla loro applicazione particolare.
Qui si tratta in particolare della concessione di licenze e permessi e dell’ingerenza statale nell’attività economica in genere; ma anche di ogni decisione retroattiva nei confronti del cittadino, che deve sempre essere giudicata illegale ed arbitraria.
- parità di diritti e doveri dello Stato e del Cittadino nei loro rapporti di natura economica: lo Stato non deve avere più diritti di una qualsiasi altra organizzazione sociale od economica quando è in disputa, per suoi interessi, con il cittadino.
Lo Stato non può definire leggi e regole vessatorie nei confronti del cittadino, al solo scopo di impadronirsi più facilmente dei suoi beni, o di far funzionare meglio i suoi apparati.
- le organizzazioni statali (Enti statali) debbono avere parità di diritti-doveri con quelle private, loro concorrenti.
La necessità dell’intervento dello Stato in attività esercitate anche da privati, non può essere falsificata rendendo impossibile a questi di agire.
- il funzionario statale, qualsiasi carica ricopra, così come l’uomo politico, deve poter sempre essere citato dal cittadino per danni diretti subiti per la sua azione illegale, presso un tribunale indipendente, formato da una giuria popolare.
- il funzionario statale, così come chi ricopra cariche politiche, non possa in alcun caso prendere decisioni nelle quali abbia un interesse personale diretto, cioè nel quale sia parte in causa in modo maggiore di quella di un qualsiasi cittadino: in particolare non possa decidere del proprio trattamento economico e normativo. Ogni qual volta un organismo politico delibera su questi argomenti, la decisione deve essere sottoposta o ad un organo indipendente o superiore, che non abbia interessi concorrenti, o, meglio, a referendum popolare.
Lo Stato e l’Etica
Il compito dello Stato di difendere i legittimi interessi dei cittadini e di dirimere le dispute inerenti, ed ancor più il compito di giudicare e punire i colpevoli di reati, rende indispensabile che lo Stato definisca ed accetti un’Etica sua propria alla quale informare leggi, giudizi e comportamenti.
Col termine di Etica definiamo la scienza che permette di individuare il Bene ed il Male, il Giusto e l’Ingiusto, nei rapporti interpersonali (nei rapporti dell’individuo con se stesso, questa scienza si chiama Morale). E’ pertanto insensata la posizione di chi sostiene che lo Stato debba essere indifferente e neutrale sui temi etici.
Duale e parallela a questa affermazione è quella, ancor più dissennata e perniciosa, che lo Stato definisce la propria Etica e ne è il Fondamento.
- Fondamento, Identificazione, Definizione
Qui va aperta una parentesi, per chiarire questo punto: una cosa è il Fondamento, una cosa è l’organo di identificazione e definizione. Cioè, una cosa è l’essere l’origine del concetto di Male e di Bene, una cosa è essere colui che identifica e definisce il Male ed il Bene.
Gli stadi per giungere alla definizione di Morale e di Etica corrispondono in realtà ad una triplice scansione: il Fondamento, la Identificazione e la Definizione.
- il Fondamento è ciò che fa sì che qualcosa sia Male o Bene, Giusto o Ingiusto.
- la Identificazione è la fase di ricerca e discussione che ci permette di comprendere e conoscere i principi morali ed etici.
- la Definizione è l’atto con il quale questi principi vengono sanciti.
Il Fondamento di Morale ed Etica oggettive non può essere che una realtà metafisica: Dio per i credenti, Vattelapesca per atei e materialisti. Poiché in ogni uomo alberga la facoltà di discernere Male e Bene attraverso un senso immediato e l’uso della Ragione, il laicista afferma che è l’uomo stesso il fondamento della Morale e dell’Etica. Ciò facendo egli distrugge ogni oggettività dei principi morali ed etici, riducendo Morale ed Etica alla legge del più forte: solo il più forte può imporre i propri principi agli altri e costruire un sistema sociale che coarti ogni individuo al rispetto di determinati comandamenti. Null’altro che la forza, delle armi, del numero o del denaro, giustifica la pretesa di punire chi non riconosca e non rispetti la legge, se questa è stabilita dagli uomini.
Solamente un principio superiore può garantire la reale esistenza dei Diritti della Persona, della Bontà o Malvagità di comportamenti anti umani, della oggettività dei principi di rispetto della vita, dei beni, della dignità dei nostri simili.
E solo un principio superiore può giustificare la punizione di chi non rispetti questi valori.
Ma come riconoscere questo fondamento e questo principio? Su questo tema, e solo su questo, si applica l’autonomia della ragione e della coscienza umana.
Infine, individuati fondamento e principi, occorre una fase normativa, nella quale questi principi si trasformino in regole e leggi per tutti.
Riassumo in uno specchietto le diverse posizioni sull’argomento:
Oggetto | Argomento | Tradizione liberale
occidentale-cristiana |
Visione liberale
laico-materialista |
Visione illiberale
laico-materialista |
Morale ed Etica |
Fondamento
|
Dio |
Uomo o Società
|
Società, Classe, Razza, Nazione, Patria, ecc. |
Morale | Identificazione | Religione; Filosofia; interiore convincimento | Maggioranza o interiore convincimento |
Politica e Stato |
Morale | Definizione | Individuo | Individuo | Leggi dello Stato |
Etica | Identificazione | Società civile; Religione; Filosofia | Società o
Politica |
Politica |
Etica | Definizione | Leggi dello Stato | Leggi dello Stato | Leggi dello Stato |
La posizione laico-materialista, non essendo univocamente determinata, offre in realtà una vasta gamma di soluzioni alternative, tutte comunque inficiate dal vizio di origine di non porre il Fondamento su basi sufficientemente solide perché il successivo sviluppo offra coerenza di struttura e sicurezza di definizione.
La differenza fondamentale tra le due posizioni sta nel fatto che la posizione tradizionale greco-cristiana reputa che il Bene abbia una esistenza oggettiva, e che la fase di identificazione consista nella ricerca di qualche cosa che c’è effettivamente. La concezione laico-materialista, eliminando il fondamento metafisico, pone il Fondamento nella fase di Identificazione, attribuendo a questa la funzione di definire, quasi creandoli, il Bene ed il Male, altrimenti non oggettivamente esistenti.
Conseguentemente e coerentemente con ciò, la fase di Identificazione era tradizionalmente attribuita ad organi, per così dire, competenti (Chiesa, Filosofia), così come si fa per la ricerca delle verità scientifiche, attribuita non alla maggioranza, ma a chi meglio le conosce, mentre la visione laica attribuisce la definizione al dibattito politico ed alla maggioranza, come si fa per cose la cui realtà è solo convenzionale e legata alle mode, alle consuetudini ed alle opinioni.
Etica e Morale erano oggetto della Sofia, cioè della Sapienza, o dell’Episteme, cioè la Scienza; oggi sono oggetto della Doxa, cioè dell’Opinione.
- La soluzione liberale greco-cristiana
In questo la visione laicista si uniforma a quella degli Stati totalitari, dove la Politica stabilisce anche Etica e Morale, definendo il Giusto ed il Bene.
La visione correttamente liberale vorrebbe invece lo Stato e la Politica al di fuori della fase di discussione ed identificazione di Etica e Morale, ed interessati alla sola fase di Definizione dei principi etici, identificati da altri organi competenti, attraverso le Leggi.
Questo non comporta però il disinteresse dallo Stato alla conoscenza ed identificazione di Morale ed Etica, così come lo Stato non è disinteressato alla corretta conoscenza dei principi scientifici.
Tuttavia, in un caso come nell’altro, il suo interesse non si manifesta entrando nel dibattito e privilegiando una soluzione sull’altra, bensì promuovendo il libero confronto e la formazione di Entità a questo dedicate, siano esse enti religiosi, chiese o istituzioni filosofiche. E se nella tradizione tale compito rimaneva affidato alla Organizzazione della Religione dominante (Chiesa), oggi una visione correttamente laica dovrebbe moltiplicare ed espandere le fonti del dibattito, pur senza sostituirsi ad esse.
- Potere coercitivo dello Stato
Inoltre, lo Stato non ha autorità sulla coscienza individuale, che è l’unica fonte terrena di identificazione dei principi morali ed etici; la Legge, invece, ha potere coercitivo sull’individuo: essa, perciò, non può mai riguardare la definizione di Bene e di Male in sé, ma solo dei comportamenti pratici che si conformano alla identificazione di tali principi, accettata dallo Stato nella sua attività Legislatrice.
Questo potere coercitivo dello Stato attraverso la Legge, rappresenta il motivo principale per il quale lo Stato (e la Politica, che ne è lo strumento di guida) deve rimanere disinteressato alla fase di identificazione dei principi etici, anche se, necessariamente, interessato alla loro applicazione e definizione legislativa.
In questo senso, è assolutamente fuori di ogni giustificazione parlare di ingerenza della Chiesa (o delle chiese) negli affari politici, quando questa svolge la sua missione naturale di identificazione dei principi morali ed etici (che, in una visione coerente ed unitaria, hanno la stessa struttura e fondamento): questo perché la Chiesa non ha il potere coercitivo proprio dello Stato, e non può far altro che svolgere opera di consiglio e convincimento.
Lo Stato e la Religione
Inizialmente la Religione faceva parte dei compiti dello Stato. Il Sacerdote era considerato una sorta di ambasciatore della società presso la divinità, e per questo doveva condurre una vita particolarmente santa, visto che egli rappresentava la società tutta presso il dio. Anche quando la classe sacerdotale guadagnò indipendenza dal potere del sovrano, la religione rimase qualche cosa di ufficiale, che unificava un popolo non solo sotto lo stesso re, ma anche sotto lo stesso dio, o dei. La cosa funzionò fino a che i cittadini dello stesso Stato ebbero la medesima religione. Ma non appena le culture ed i popoli cominciarono a mescolarsi, all’interno degli Stati apparvero più religioni e più culti.
Questo fatto fu foriero di infiniti lutti, guerre, persecuzioni. In Europa, per un secolo intero (a cavallo tra ‘500 e ‘600), gli Stati ed i popoli si scannarono per imporsi le proprie religioni. La cosa si risolse quando si decise che lo Stato, di per sé, doveva essere “laico”, cioè imparziale nei confronti delle varie religioni dei suoi sudditi. Questa “laicità” non venne altresì concepita come “non religiosità”: lo Stato rimaneva comunque interessato alla religione come rapporto con l’Assoluto, solamente non discriminava tra questa o quella forma di culto.
Solo in seguito, prevalendo tra le classi borghesi il positivismo e tra quelle popolari il marxismo, si formulò una definizione di laicità tale da renderla sinonimo di ateismo, cosicché lo Stato nelle sue espressioni dovrebbe bandire ogni riferimento alla divinità: in tal modo, però, esso diventa nuovamente confessionale, privilegiando la visione atea, anch’essa forma di concezione metafisica.
Che questa non fosse la concezione liberale originaria, ne testimoniano le democrazie inglese ed americana: nella prima il Re è contemporaneamente il capo di una religione (l’Anglicanesimo), nella seconda i riferimenti a Dio sono assolutamente normali nelle espressioni ufficiali.
- Necessario interesse dello Stato per la religione
L’interesse dello Stato nei confronti della Religione è dovuto non solo alla libera religiosità dei cittadini, ma soprattutto all’impossibilità di fondare valori di libertà e rispetto della persona se non su espressioni di carattere metafisico: per questo insisto sull’impossibilità di fondare un’etica civile sull’ateismo o sull’agnosticismo.
Fino a quando il mondo laico non avrà elaborata una sua risposta a questi problemi, che non sia una semplice enunciazione di dichiarazioni indimostrate ed indimostrabili, facilmente ribaltabili nei loro contrari in base agli stessi principi con i quali sono state formulate, sarà evidente che lo Stato non può prescindere da una forma di religiosità, seppur naturale ed indipendente dalle chiese e dai culti, in cui gli aspetti del divino siano unificanti nella definizione dei valori civili ed umani.
Perfino nei rapporti con le altre civiltà, con le quali tanto drammaticamente si vanno delineando pericoli di scontri mortali, il possibile dialogo non può configurarsi nel nome di una laicità atea, violentemente rifiutata e combattuta, bensì di una laicità religiosa, che vede cioè nel divino l’elemento di conciliazione e rispetto reciproco. Rispetto di ragione e libertà ci vengono, e possono essere trasmessi ad altri, solamente da e per mezzo del versetto 27 della Genesi, tante volte citato. Le soluzioni edonistiche (è bene ciò che piace), relativistiche (non esiste il bene in sé), utilitaristiche (è bene ciò che è utile), sentimentalistiche (all’uomo piace fare il bene), uniche soluzioni al problema offerte dal pensiero laico, possono troppo facilmente essere mutate esattamente nel contrario di quello che si pensa inducano a credere, nelle nuove formulazioni: tutto ciò che mi piace è buono, tutto ciò che mi è utile è buono.
Riporto un giudizio di Hegel su questo punto:
E’ stato un errore formidabile della nostra epoca quello di voler considerare Religione e Stato, che sono inseparabili, come cose separabili tra loro, anzi addirittura come reciprocamente indifferenti. In tal senso il rapporto della Religione con lo Stato è stato considerato come se lo Stato esistesse già di per sé e per via di una qualsiasi forza e potenza, mentre la religiosità, in quanto elemento soggettivo dell’individuo, dovrebbe auspicabilmente aggiungersi allo Stato solo per consolidarlo, oppure dovrebbe essergli indifferente: l’eticità dello Stato, cioè il diritto e la costituzione razionale, starebbe per sé salda sul proprio fondamento.
G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 552, Rusconi, Milano 1996, pp. 881-883.
Ed un brano di Rüdiger Safranski, sullo Stato che vuol fare a meno di Dio:
L’inversione dei principi, vale a dire il predominio della volontà propria sulla volontà universale, impedisce al genere umano, diviso in una infinita pluralità, di trovare la via dell’unificazione. Questa frammentazione in egoismi ostili induce a ricercare un’unione di ripiego – la di là della perduta unità naturale ed al di qua dell’irraggiunta unità in Dio – è l’organizzazione dello Stato… Senza unità naturale e senza unità in Dio non resta che l’unità artificiosa dello Stato, tenuta in essere con l’impiego della forza fisica. Questa unità precaria ha bisogno di motivazioni spirituali. Lo Spirito, predisposto per i compiti della forza costrittiva statale, diventa ideologia.
R.Safranski, Il Male, Longanesi, Milano 2006, p. 62.
Altre concezioni dello Stato
Mi soffermo a ricordare altre due concezioni dello Stato, interessanti dal punto di vita culturale e storico, poiché hanno trovato infiniti fautori ed applicazioni, talora positive, talora spaventose.
- Lo Stato pedagogo
Secondo questa concezione, propria, con alcune differenze, sia di Platone, sia di Aristotele, e successivamente ripresentata nel corso di tutta la storia occidentale cristiana, compito dello Stato è di educare il cittadino per renderlo più buono.
Secondo Platone, questo è un compito che si autogiustifica: rendere buono il cittadino è di per sé obiettivo sufficiente, in quanto lo rende simile alla divinità (che coincide con il Bene stesso).
Ecco come, nel Gorgia, Socrate parla a Callicle del compito del politico:
E ora, uomo eccellente, dal momento che tu stesso hai iniziato da poco a occuparti di faccende politiche e inviti anche me e mi rimproveri perché non me ne occupo, non dovremmo sottoporci a un esame, chiedendoci a vicenda:
“Suvvia, Callicle, hai già reso migliore qualche cittadino? C’è qualcuno che, mentre prima era malvagio, ingiusto, dissoluto e dissennato, per opera di Callicle sia diventato un uomo per bene, sia esso forestiero o cittadino, schiavo o libero?”…
…Non è per desiderio di prevalere che ti interrogo, ma perché voglio sapere veramente in quale maniera credi si debba prendere parte alla vita politica di questa Città.
O ti prendi cura, una volta raggiunto il potere politico, di altra cosa che non sia il come noi cittadini si possa diventare quanto più è possibile migliori?
Platone, Gorgia, 515 A-C, Rusconi, Milano 1998, p. 275.
Il pensiero di Aristotele è leggermente più complesso: compito dello Stato (della politica, egli dice), è la felicità (o, meglio, la vita felice, l’eudaimonia) del cittadino. Ma la felicità si ha solo in un comportamento virtuoso: ecco che il compito dello Stato è la realizzazione dell’etica, cioè della realizzazione di una vita virtuosa per tutti i cittadini. Il tema è affrontato da Aristotele, tra l’altro, nell’Etica Nicomachea:
Riprendendo il discorso, poiché ogni conoscenza ed ogni scelta aspirano ad un bene, diciamo ora che cos’è, secondo noi, ciò a cui tende la politica, cioè qual è il più alto di tutti i beni raggiungibili mediante l’azione. Orbene, quanto al nome la maggioranza degli uomini è pressoché d’accordo: sia la massa sia le persone distinte lo chiamano “felicità”, e ritengono che “vivere bene” e “riuscire” esprimano la stessa cosa che “essere felici”.
In effetti la felicità non consiste i questi passatempi, ma nelle attività conformi a virtù…
Noi pensiamo che il piacere sia strettamente congiunto con la felicità, ma la più piacevole delle attività conformi a virtù è quella conforme alla sapienza…
Ma è difficile avere fin dalla giovinezza una retta guida alla virtù se non si viene allevati sotto buone leggi…
Aristotele, Etica Nicomachea; I, 4, 1095a; X, 6, 1177a; X, 7, 1177a; X, 9, 1179b ; Rusconi, Milano 19984, pp. 55, 391, 393, 403.
Questa concezione, rifiutata oggi dal pensiero laico, lo è anche dal pensiero liberale cristiano, quando essa comporti coercizione della libera coscienza del cittadino, cioè imposizione di un modello di Bene o di Giusto diverso da quello sentito come tale dal singolo individuo.
Può essere invece accettata quando essa si attui nella Libertà, cioè quando lo Stato interpreti questo suo compito, che ben si concilia con gli interessi generali, come aiuto da esso fornito ad ogni singolo ed alle famiglie nell’attività educativa e formativa secondo principi liberamente accettati.
Occorre comunque far presente, a scanso di equivoci, che la non liceità da parte dello Stato di imporre alle coscienze (attraverso l’educazione coatta) dei modelli di Bene rifiutati dal singolo, non comporta la non correttezza dell’imposizione o proibizione di comportamenti pratici, nei confronti degli altri, conformemente al modello di Bene e di Giusto riconosciuti come tali dallo Stato, né impedisce azioni di convincimento attraverso forme di dialogo liberamente accettate.
In parole povere, non è lecito imporre ad un indù di credere che sia male bruciare la vedova insieme al marito, ma è doveroso cercare di convincerlo, impedirgli di farlo e metterlo in prigione se lo fa davvero.
- Lo Stato etico
Lo Stato etico, tante volte confuso dalla propaganda laicista con lo Stato che rispetti i principi etici, è invece la degenerazione dello Stato pedagogo quando questo si erga a fonte stessa dell’eticità.
Questo è lo Stato che afferma che il Bene od il Male hanno il loro principio nelle sue leggi ed ordinamenti, o, più correttamente, nella volontà della classe od ideologia dominante, della quale questi sono gli strumenti esecutivi, e non in un principio separato ed indipendente dallo Stato stesso. Tali furono gli Stati totalitari ed ideologici del ‘900, ma tale rischia, o lo è già, lo Stato laicista odierno, che attribuisce al dibattito politico, all’opinione dominante ed alla legge l’autorità di stabilire cosa è bene e cosa è male, irridendo ed escludendo ogni altra autorità sul tema. Alla fine, questo atteggiamento esclude l’esistenza di principi superiori intangibili, principio stesso della democrazia liberale occidentale.
- Lo Stato come manifestazione superiore dello Spirito
Questa concezione è stata proposta da Hegel: lo Stato è una forma di espressione dello Spirito Assoluto (Dio), così come l’individuo. Naturalmente è una forma più alta, nella quale l’individuo trova il suo pieno compimento.
In parole povere, possiamo pensare che ogni Stato sia una Persona cosciente di sé e realizzantesi nella Storia.
Lo Stato è la Sostanza etica autocosciente, è l’unificazione del principio della famiglia e di quello della società civile. L’essenza dello Stato è quella stessa unità che nella famiglia è come sentimento dell’amore.
Lo Stato è …in secondo luogo un individuo particolare… in terzo luogo.. soltanto un momento dello sviluppo dell’Idea universale dello Spirito nella sua Realtà, cioè la Storia del Mondo.
G.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 535-536, Rusconi, Milano 1996, p. 841.
Questa concezione ha giustificato le peggiori forme di autoritarismo statale, ponendosi lo Stato al di sopra dell’individuo, il quale ad esso può venir sacrificato.
Non era questa la concezione di Hegel, che concepiva lo Spirito Divino come qualche cosa di unitario e positivo, caratterizzato dalla Libertà di ogni sua espressione, e per il quale lo Stato partecipava ad un disegno di sviluppo di ogni forma spirituale individuale, ma così fu poi interpretato dall’hegelianesimo di sinistra, marxista e poi fascista, e così fu poi imputato ad Hegel, come se egli fosse stato responsabile del travisamento del suo pensiero dopo la sua morte.
Questa interpretazione può trovare fondamento in una considerazione di carattere scientifico-psicologico: un cervello è un insieme di elementi (neuroni), collegati in una rete di comunicazione (assoni e sinapsi), in cui ogni neurone riceve informazioni (segnali elettrici) da altri neuroni e invia, di conseguenza e con determinate leggi, altri segnali (informazioni) ad altri neuroni a lui collegati. Questa fitta rete di informazioni dà origine al ragionamento meccanico cerebrale, per il quale, in presenza di informazioni di ingresso, si originano azioni interne al cervello e comandi di uscita.
Questa struttura è del tutto simile alla struttura sociale, dove gli individui di uno Stato sono i neuroni, e le forme di comunicazione sono i collegamenti (sinapsi) cerebrali. Uno Stato, come qualsiasi società complessa, funziona quindi come un cervello, dando origine a comportamenti autonomi dalla volontà dei singoli individui che lo compongono ed anche che lo comandano.
Ma questa considerazione, che ci porta a meditare sulla imprevedibilità delle conseguenze degli atti umani e sulla loro ineluttabilità (come dice Hannah Arendt nel suo Vita activa), non ci dice nulla sulla effettiva personalità dello Stato, o meglio sulla sua autocoscienza.
Per quanto ne sappiamo il comportamento statale è un comportamento meccanico, paragonabile a quello di un qualsiasi computer, che noi possiamo utilizzare a nostro vantaggio od a nostro danno, ma per il quale non abbiamo alcun obbligo di particolare rispetto.
Qualora, poi, lo Stato fosse un individuo autocosciente, nulla noi potremmo fare per esso, se non continuare a pensare al nostro corretto sviluppo e realizzazione, senza inventarci particolari doveri di subordinazione verso una entità a noi assolutamente sconosciuta, così come una cellula del nostro corpo, se fosse cosciente, non dovrebbe fare null’altro che svilupparsi correttamente secondo la sua natura, se volesse esserci di qualche aiuto, senza pensare di dover fare cose particolari per aiutarci, cose che ci risulterebbero anzi dannose.